venerdì, gennaio 04, 2008


LE “TRE SINISTRE” E LA RICERCA DELL’ALTERNATIVA

Confermando le previsioni dei più attenti commentatori, la nascita del Partito Democratico – lungi dal favorire l’attuazione di quella fase di “semplificazione della politica” più volte richiamata da Fassino nel corso della lunga stagione congressuale – ha alterato profondamente gli equilibri interni alla già di per sé non stabile maggioranza di governo.
Indipendentemente dalle valutazioni proponibili in ordine alle scelte compiute da quelle cellule impazzite del centro moderato che più volte hanno attentato alla stabilità dell’Esecutivo nella prima fase della legislatura in corso, si deve infatti rilevare come la sinistra italiana risulta attualmente spezzata in tre tronconi: il nostro Paese registra in questo senso la colossale anomalia costituita dall’esistenza non già di un fronte progressista unitario, ma di tre diverse sinistre, ciascuna delle quali appare impegnata a perseguire la propria road to perdition.
Aderendo al progetto del PD, la componente maggioritaria dei DS ha coraggiosamente scelto di mettere in discussione la propria identità per favorire l’elaborazione di “un nuovo pensiero per un nuovo secolo”, di “ammainare definitivamente le vecchie bandiere” per “affrontare con rinnovato slancio le sfide quotidianamente proposte da una società sempre più deideologizzata” .
Tuttavia – senza volere in questa sede riaprire la rovente polemica relativa all’attualità delle grandi ideologie che hanno attraversato il ‘900 – il disegno perseguito dai fautori del nuovo riformismo appare inficiato da una contraddizione fondamentale: la creazione di un partito rappresenta per forza di cose il momento conclusivo di un processo costituente lungo e complesso, basato sull’individuazione di una serie di punti di convergenza sulle principali questioni che attengono alla vita del Paese, sulla stesura di un manifesto di valori condivisi, sulla attuazione di un programma di governo coerente con siffatto sistema di valori.
Ebbene, proprio la pretesa di invertire le tappe dell’appena descritto processo costituente, di anteporre la nascita del partito alla predisposizione del substrato culturale su cui il medesimo deve trovare fondamento può essere individuata come la causa scatenante delle continue contrapposizioni tra riformisti e conservatori che già vengono riscontrate all’interno del nuovo soggetto politico sui temi dei diritti civili, della laicità dello Stato, delle riforme istituzionali, della legge elettorale.
Ciò malgrado, se le iniziative di alcuni democratici autentici come Furio Colombo, Gianfranco Pasquino e Nando dalla Chiesa risultano costantemente paralizzate dalla filosofia veltroniana del “ma anche”, mancherebbe evidentemente di obiettività chi al momento riconoscesse alla “cosa rossa” l’idoneità a svolgere quel ruolo di alternativa progressista al PD di cui gli elettori invocano la formazione.
Premesso infatti che l’iniziativa romana del 9 dicembre può al massimo essere definita come un positivo momento di incontro tra militanti pieni di entusiasmo, leader storici lastricati di buone intenzioni, magnifici intellettuali e dirigenti combattuti tra passione politica e necessità di conservare privilegi e rendite di posizione, anche all’interno dell’Arcobaleno l’ aspirazione della (ex) minoranza diessina di procedere alla creazione di una moderna realtà di governo fortemente ancorata ai principi del socialismo europeo rischia di collidere con le valutazioni di quelle frange di Rifondazione Comunista le quali – forti di una organizzazione stabile – hanno più volte manifestato (in particolare, mettendo in discussione un protocollo di intesa approvato a larghissima maggioranza dai lavoratori afferenti alle varie associazioni sindacali) la disponibilità a sacrificare la stabilità della maggioranza che sostiene l’Esecutivo in carica pur di non rinunciare alla loro storica dimensione di “partito di lotta”.
Così, le due sinistre confluite nella “Cosa Rossa” si trovano già di fronte ad un bivio: possono rassegnarsi a dare vita ad un soggetto politico di eterna opposizione, ad una antistorica compagine di nostalgici dotata di scarso peso elettorale e capace di attrarre unicamente i consensi di settori sempre più esigui della società italiana; oppure, possono scegliere di “cambiare pelle” per impegnarsi nella creazione di una nuova forza del socialismo del XXI secolo, in grado di porsi come autorevole interlocutore del PD e di orientare (sulle grandi questioni a cui si è in precedenza fatto riferimento) in senso progressista le scelte de “L’Unione”, nel tentativo di proporre un’alternativa credibile allo strapotere berlusconiano.
La presenza di una forte sinistra di governo rappresenta infatti una necessità per il Paese: quel “fate presto!” con cui si è conclusa la manifestazione del 9 dicembre non rappresenta che l’ennesima conferma della correttezza di questa affermazione.
Carlo Dore jr.

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