Relazione introduttiva tenuta in occasion dell'iniziativa pubblica organizzata a Cagliari il 6 ottobre 2012 dal circolo di Libertà e giustizia, con la partecipazione di Roberta De Monticelli
"La
bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le
rivoluzioni hanno bisogno di lei”. Vorrei partire da questa meravigliosa
frase di Albert Camus (utilizzata dalla prof.ssa De Monticelli nel suo recente
scambio di “lettere aperte” con il segretario del PD Bersani) per introdurre
l’incontro di oggi: “La dissipazione della bellezza: distruzione del “paesaggio
storico” e suicidio morale di una Nazione”. La bellezza come “scintilla” che
incendia la rivoluzione; la difesa della bellezza come momento di reazione
avverso i fenomeni di mala amministrazione ed illegalità diffusa che
caratterizzano il crepuscolo della Seconda Repubblica.
Posto infatti che
proprio le storture e le inefficienze del sistema amministrativo sono oggi
drammaticamente all’ordine del giorno, queste storture ed inefficienze si
traducono spesso nella costante erosione di quell’insieme di “beni comuni”, di
risorse naturali e culturali che costituiscono il volto e l’identità stessa del
nostro Paese. In questa prospettiva, la prof.ssa De Monticelli ha fatto più
volte riferimento alla situazione in cui versano la periferia di Assisi e la
riva degli Etruschi (ridotta a terra di conquista per la cementificazione
selvaggia). Per parte mia, attenendomi alla stretta realtà locale, posso
richiamare l’opera di “ripascimento” della spiaggia del Poetto, per anni
degradata dalla felice condizione di perla del Tirreno a quella di pietraia
bruna e rovente; al caso dei palazzoni
che deturpano la vista della città per chi si accosta ad essa dal porto; alla
paradossale vicenda dell’Anfiteatro, prima ingabbiato da un’orribile struttura
di legno e ponti mobili, e rimasto a lungo paralizzato nell’attesa di una
“riqualificazione” avviata solo negli ultimi mesi; alla recente approvazione
della legge sulle “zone umide”, in forza della quale il divieto di costruire
nella fascia di trecento metri dalla battigia opera solo con riferimento a
laghi e invasi artificiali.
Ma molto, troppo spesso
dietro la distruzione del “paesaggio storico” non si celano solo incuria ed
incapacità: si celano quei fenomeni di corruzione che riempiono le pagine dei
giornali, si celano le tangenti, si cela, nera ed incombente, l’ombra della
criminalità organizzata. Ed allora il pensiero vola oltre le tante “cattedrali
nel deserto” costruite negli anni’80, vola oltre i costi abnormi di tante opere
pubbliche dalla dubbia utilità e dall’impatto ambientale devastante, per
soffermarsi sul ricordo di una città che non c’è più: la Palermo degli anni’50,
quella delle ville liberty e del teatro Bellini, la Palermo del sindaco Lima e
dell’assessore Ciancimino e del progetto di Cosa Nostra di mettere “le mani
sulla città”. In una notte, il centro del capoluogo siciliano fu invaso dalle
fiamme, triste preludio alla stagione delle licenze facili rilasciate a cinque
ingnari “manifabbri” e dei casermoni al posto dei gelsomini. Il “Sacco di
Palermo” si completò così: la Mafia prendeva possesso del territorio, la Mafia
distruggeva la bellezza con il consenso della politica corrotta e degli
imprenditori conniventi.
Cattiva amministrazione
e criminalità come cause dell’erosione del “Paesaggio storico”: la mancanza di
reazione, l’indifferenza generalizzata verso il fenomeno sono gli indici chiari
dello stato di un Paese che (tra le cene di Batman e i diamanti di Belsito, le
ricevute di Formigoni e le immagini dell’Odissea alla vaccinara) corre veloce
verso il proprio suicidio morale. Ma un Paese che accetta passivamente la
distruzione del proprio substrato storico e culturale come può continuare a
credere in quella “riscossa civica”, da più parti individuata come il
presupposto necessario per costruire un futuro diverso da questo triste
presente?
Insomma, riprendendo la
frase di Camus, se anche la bellezza non fa le rivoluzioni, senza la bellezza
come possiamo sperare di far la rivoluzione?
Carlo
Dore jr.
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