“Lo
avrai, camerata Kesserling, il monumento che attendi da noi Italiani,
ma con che pietra si costruirà deciderlo tocca a noi”.
Il monumento che Calamandrei idealmente contrapponeva alle feroci
incursioni delle camicie nere è stato elevato facendo ricorso ad un
particolare tipo di pietra: alla pietra delle idee, alla pietra del
sangue, alla pietra della speranza di un Paese diverso che sosteneva,
ora dopo ora, i protagonisti della lotta di Liberazione. Quel
monumento è la Costituzione: patto tra uomini liberi volto a
stabilire le regole fondanti della convivenza democratica, manifesto
politico ispirato ai valori di solidarietà ed eguaglianza che della
Resistenza costituivano l'anima. Già, l'anima: nella Costituzione
c'è l'anima della Resistenza, perchè la Costituzione è figlia
della Resistenza.
Il
rapporto che lega le scelte dei Costituenti alla stagione della lotta
partigiana non emerge solo dalle disposizioni relative alla dignità
della persona umana ed ai “diritti di libertà” – principi
fondamentali di un ordinamento chiamato a superare l'onta delle leggi
razziali - : quel legame traspare anche dalle norme che, attraverso
un equilibrato sistema di checks
and balances
tra i vari poteri dello Stato, garantiscono il regolare svolgimento
della dialettica democratica dinanzi al manifestarsi di eventuali
rigurgiti di autoritarismo; traspare dal principio che, qualificando
la magistratura come un ordine autonomo rispetto ad ogni altro
potere, rifiuta la logica di un sistema giudiziario inteso come
braccio armato del potere politico; traspare dalla previsione di
efficienti istituzioni di garanzia, in grado di salvaguardare
l'integrità del dettato costituzionale dai desiderata
di una contingente maggioranza di governo.
Ecco, non è casuale che
proprio la seconda parte della Costituzione sia stata oggetto di
numerosi tentativi di revisione durante i vent'anni che hanno
scandito l'evolversi della Seconda Repubblica; e non è casuale che
la necessità di procedere ad una rielaborazione dei principi
relativi alla forma di governo consacrati nella Carta Fondamentale
(più volte definiti come il decadente retaggio di una cultura
filosovietica) sia stata manifestata con particolare vigore dagli
esponenti di quello schieramento politico che, attraverso la
sistematica (e talvolta spudorata) riabilitazione del ventennio
fascista, tuttora negano alla Resistenza il valore di momento
fondante della nostra democrazia.
Ma
proprio la capacità della Costituzione di resistere ai molteplici
tentativi di revisione di cui è stata oggetto rappresenta la
migliore conferma dell'attualità dei valori di cui la Carta è
espressione: il valore dell'uguaglianza, destinato a prevalere
sull'ossessiva ricerca del privilegio; il valore delle istituzioni
intese come strumento per l'attuazione dell'interesse generale,
affermato in confronto di quanti vorrebbero le stesse istituzioni
asservite alle esigenze del princeps;
il valore delle cariche pubbliche da esercitare secondo “disciplina
e onore”, principi brutalmente sviliti dalle tristi vicende oggetto
della cronaca recente; il valore dell'indipendenza della
magistratura, opposto ai mille disegni di riforma diretti a
sottoporre il Pubblico Ministero al controllo del potere politico; il
valore della democrazia come momento di confronto, destinato a
prevalere sempre e comunque sul decisionismo efficentista che
caratterizza il modello dello Stato-azienda.
Sono valori radicati nella
storia del nostro Paese, sono i valori radicati nelle mille,
meravigliose esperienze che rendono entusiasmante e commovente la
nostra Storia: nell'esperienza di Antonio Gramsci, intelletto troppo
elevato per rimanere sepolto nelle segrete di Turi; nell'esperienza
di Emilio Lussu, vittima fieramente consapevole delle storture
giudiziarie di un regime che non faceva prigionieri; e soprattutto
nell'esperienza dello splendido, struggente ultimo discorso di
Giacomo Matteotti, e del suo tentativo di riscattare “non
prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente” la dignità
di una Camera dei Deputati già ridotta a bivacco di manipoli.
Uguaglianza, giustizia,
dignità, passione: in una parola, Resistenza; in una parola,
Costituzione. Anche in un epoca attraversata dalle violente pulsioni
autocratiche di cui si alimentano le varie facce della “politica
personale”, i valori della lotta partigiana hanno saputo superare
le barriere del tempo, e continuano ad ispirare i 139 articoli della
Carta Fondamentale. Per questo, mi piace credere che, proprio in
calce all'art. 139, è possibile rinvenire un'ulteriore “norma di
chiusura”, una norma di chiusura scandita dalle stesse parole
incise nella pietra del monumento di Calamandrei:
Ora
e sempre, Resistenza.
Carlo Dore jr.
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