Mentre
scrivo queste righe, le parole di Hilda Boccassini rimbombano ancora
per i corridoi deserti del Tribunale di Milano, sintetizzando nella
cruda freddezza di una formula giuridichese l’essenza stessa degli
ultimi vent’anni della storia d’Italia: “prostituzione
sistematica a beneficio dell’imputato Silvio Berlusconi”.
Prostituzione sistematica, ovvero prostituzione che diventa sistema.
Il sistema di un Paese asservito al volere di un Capo non
assoggettabile a quei parametri di disciplina e onore che, secondo il
vetusto orpello costituzionale, dovrebbero guidare l’azione dei
titolari di funzioni pubbliche; il sistema di un Paese mobilitato ad
assecondare le esigenze di un unico utilizzatore finale, pervaso dai
pruriti machisti
come dalle bramosie impunitarie; il sistema di un Paese in cui, tra
leggi ad personam e gare di burlesque, la prostituzione materiale ed
intellettuale si eleva a veicolo privilegiato per seguire l’impervia
rotta del potere.
Mentre
scrivo queste righe, le parole di Enrico Letta risuonano ancora nel
silenzio assordante della fiera di Roma: non un cenno ai ministri che
inveivano in piazza contro le toghe politicizzate; non un cenno sui
parlamentari mobilitati nell’occupazione dei palazzi di giustizia;
non un cenno sull’ennesima autoassoluzione dell’eterno impunito,
capace persino di paragonare la sua eterna fuga dai processi al
dignitoso coraggio che sempre contraddistinse la figura di Enzo
Tortora. Solo silenzio, inframmezzato dai continui riferimenti al
“senso di responsabilità”.
Già,
il senso di responsabilità: è per senso di responsabilità che
l’ala “dialogante” del PD ha silurato Pierluigi Bersani e il
suo progetto del governo di cambiamento; è per senso responsabilità
che i teorici della “pacificazione” hanno scelto la via
dell’abbraccio mortale con Berlusconi, forti della neanche tanto
malcelata benedizione del guru Casaleggio; è per senso di
responsabilità che i democrat hanno imposto al PD di abdicare dal
suo ruolo di partito della Costituzione, riducendo la politica
italiana a greve scontro tra l’autoritarismo economico e mediatico
del Cavaliere e quello telematico di Beppe Grillo.
Mentre
scrivo queste righe - pensando che, in definitiva, è per senso di
responsabilità che il PD ha scelto, attraverso la strategia delle
larghe intese, di “normalizzare” il sistema Berlusconi - mi trovo
fatalmente a tessere l’estremo elogio di un “partito
irresponsabile”.
Sì,
io vorrei un partito irresponsabile. Vorrei un partito tanto
irresponsabile da opporre la bandiera della legalità al ruggito
della piazza caimana; vorrei un partito tanto irresponsabile da
affermare l’assoluta attualità dell’impianto costituzionale
vigente, ribadendone l’intangibilità dinanzi all’attuazione di
poco convincenti progetti di riforma; e vorrei un partito tanto
irresponsabile da indicare nel ritorno al voto la soluzione della
crisi politica in atto, consapevole del fatto che la prospettiva di
una sconfitta elettorale può sortire effetti meno devastanti della
perdita di credibilità che deriva dalla legittimazione
dell'avversario di sempre.
Ma
è tempo di larghe intese, e il silenzio della pacificazione
inghiotte l'indignazione per la “prostituzione sistematica”
insieme alle parole della Boccassini. Rimane spazio solo per
l'ennesimo richiamo al senso di responsabilità, mentre gli opposti
autoritarismi si apprestano a spartirsi le spoglia di un Paese allo
sbando, tra lo sconcerto di quanti, non disposti a praticare sconti
sul piano della qualità democratica, continuano a tessere l'elogio
del “partito irresponsabile”.
Carlo
Dore jr.
(articolo
pubblicato su www.cagliari.globalist.it)
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