Beppe Grillo cala in Sardegna accolto
dagli applausi di quanti vedono nell'ex comico
l'unica opposizione al magma delle larghe intese, l'estrema speranza di
rinnovamento di un sistema politico sempre più arroccato all'interno dei
palazzi del potere.
Sembra
inarrestabile, la marcia dei barbari illuminati dal Dio del Blog: nell'arco di
tre mesi, hanno mandato al macero Bersani ed il suo commovente tentativo di
dare vita ad un “governo di cambiamento” che prometteva legalità e lotta al
conflitto di interessi; hanno gettato il PD nell'abbraccio mortale del PDL,
riconsegnando a Berlusconi la golden sahre di un Paese sull'orlo del baratro; e
hanno garantito ai manipoli guidati da Crimi e dalla Lombardi la possibilità di
insistere nel loro assalto al Parlamento, liberi da ogni possibile
responsabilità di governo. Magro bottino di guerra, per chi si riproponeva di
“aprire Montecitorio come una scatoletta di tonno”.
Gli
oplites di Beppe non fanno una piega e tirano dritto: zainetti vintage e
ipad di ultima generazione sono il simbolo della loro personalissima nueva
alvorada, l'insulto generalizzato a compagni e avversari diviene il marchio
di fabbrica di una non ben definita riscossa civica, perfino lo strafalcione
più grossolano viene bonariamente giustificato come un’innocente dimostrazione di
sana onestà intellettuale. D'altronde, vogliono essere barbari: i barbari di
Grillo, pronti a seppellire il Mondo con un coro di matte risate.
Eppure,
le ultime amministrative hanno denunziato l'esistenza di un bug nel sistema, di
una bestemmia nel Vangelo secondo Casaleggio, di una mela bacata nello
zainetto: il Movimento è rimasto fuori dai ballottaggi, la marcia dei barbari
si è trasformata in marcetta da gita
scolastica, Attila si è riscoperto Asterix. I “cittadini” sono spariti di
colpo, e di colpo Grillo è rimasto solo: solo nella rete di post e likes, alle
prese con la rabbia di militanti e avatar; solo nel silenzio assordante di una
piazza vuota, pronta a seppellirlo sotto un coro di risate.
Beppe
non si rassegna: il Movimento sul territorio non esiste, lui vince e perde da
solo. Da solo, espelle i dissidenti come Berlusconi al culmine del delirio
bulgaro; da solo, liquida le critiche di Stefano Rodotà e le domande di Milena
Gabanelli con la stessa sprezzante arroganza con cui aveva messo in discussione
l'autorevolezza scientifica di Rita Levi Montalcini, altra mente libera e non
disposta a genuflettersi dinanzi all'icona dell'Uomo solo al comando. Beppe
vince e perde da solo, ma la batosta l'ha sentita eccome. E allora anche la
piccola Assemini, sperduta nel cuore dell'entroterra cagliaritano, diventa
importante come una nuova Chalon per i barbari riconfinati tra le pieghe di un
fumetto.
Ecco
perchè Beppe cala in Sardegna con tutto il suo repertorio di invettive e
sberleffi, cercando l'applauso di chi ancora vagheggia una riscossa civica.
Chissà se, dinanzi
all'eco di un'altra piazza vuota, dinanzi
ad un'altra raffica di “vaffa” sparata dai frequentatori del blog, il comico
reinventatosi Capo politico capirà che la logica dell'opposizione ad ogni costo
non è compatibile con una concreta prospettiva di rinnovamento, che gli
elettori non gli hanno perdonato di avere rivitalizzato il Cavaliere attraverso
quei “no” ossessivamente opposti agli otto punti del governo di cambiamento,
che il fantasma di Bersani umiliato in streaming consumerà presto o tardi la
sua vendetta, aleggiando, sconfitta dopo sconfitta, su quel che resta delle
cinque stelle.
E
chissà se riuscirà a prendere consapevolezza del fatto che il destino di ogni
guru intenzionato trasformare il Parlamento ora in un bivacco di manipoli, ora
in un ricettacolo di zainetti, ipad e strafalcioni appare irrimediabilmente
tracciato dagli ineluttabili sentieri della storia: da solo in una piazza
vuota, dove una risata lo seppellirà.
Carlo Dore jr.
( cagliari.globalist.it )
( cagliari.globalist.it )
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