Nel
redigere il comunicato volto a ribadire l’intendimento del PDL di ostacolare
l’applicazione della sentenza di condanna pronunciata nei confronti di
Berlusconi, Angelino Alfano ha fatto ricorso ad una nuova (ed invero curiosa)
categoria concettuale: quella della “inaccettabilità costituzionale”. La
decadenza del Cavaliere dalla carica di senatore – conseguente alle
disposizioni del d.lgs. n. 235/2012 (c.d. Legge Severino) – sarebbe
“costituzionalmente inaccettabile” in quanto priverebbe di rappresentanza
quella fetta di elettorato che, in occasione delle ultime elezioni, ha scelto
di accordare ancora una volta la propria fiducia ai partiti di centro destra.
“Costituzionalmente inaccettabile”:
la formula, nella sua semplicità, si presta ad una riflessione più
approfondita. Come è noto, sul piano strettamente giuridico, la categoria della
“inaccettabilità costituzionale” degli effetti di una norma non trova
cittadinanza nel nostro ordinamento, il quale viceversa impone di considerare
costituzionalmente illegittima una legge (o un atto equiparato) che collida con
il disposto della Carta Fondamentale. Tuttavia, sugli eventuali profili di
illegittimità costituzionale della Legge Severino gli esponenti del PDL non
sono andati oltre generiche enunciazioni di principio: forse in ragione
dell’impossibilità, per il Parlamento, di fungere da giudice a quo, sollevando nanti la Consulta la
questione di legittimità della norma indubbiata; o forse, per non affrontare
dinanzi all’opinione pubblica l’imbarazzo derivante dalla contestazione della
costituzionalità di una legge che lo stesso partito di Berlusconi, nella scorsa
legislatura, ha contribuito ad approvare.
“Costituzionalmente inaccettabile”:
la formula di Alfano suona come una dichiarazione di guerra rivolta all’intero
sistema istituzionale. Berlusconi ha i voti, dunque non può decadere: pena il
venire meno delle larghe intese, la certificazione delle crisi di governo, il
concretizzarsi delle elezioni anticipate. Eppure, in quelle due parole, si
annida un macroscopico paradosso, probabilmente sfuggito alla penna dello
zelante segretario pidiellino: se infatti il concetto di “inaccettabilità
costituzionale” non può valere a descrivere una categoria giuridica, esso
risulta invece perfettamente idoneo a definire un orientamento culturale, un
modo di agire, un disegno politico: l’orientamento culturale, il modo di agire,
il disegno politico a cui il comunicato da lui redatto risulta funzionale.
Costituzionalmente inaccettabile, in quando imbevuto di una cultura
a-costituzionale.
Si pone infatti fuori dalla
Costituzione quella forza politica che concepisce il consenso popolare come una
sorta di lavacro lustrale in grado di cancellare le conseguenze di qualsiasi
reato, neutralizzando financo le conseguenze di una condanna definitiva; si
pone fuori dalla Costituzione quel partito che, agitando ossessivamente lo
spettro dell’ingovernabilità, vorrebbe imporre al Parlamento, al Governo ed al
Presidente della Repubblica di travalicare i limiti dei poteri ad essi
conferiti dalla Carta Fondamentale, al solo scopo di assicurare “l’agibilità
politica” (altro artificio retorico, utilizzato per delineare i caratteri di
una indigeribile condizione di impunità) ad un eccellente pregiudicato; ma
soprattutto, si pone fuori dalla
Costituzione quel leader politico che, dopo avere reiteratamente calpestato i
fondamentali principi della Carta per assecondare i suoi personali interessi e
le proprie esigenze processuali, pretende di rinvenire nella stessa Costituzione
il percorso utile ad impedire l’applicazione nei suoi confronti di una norma
che egli stesso ha concorso ad approvare.
Ecco allora che – come nel più
beffardo dei deja vu – il paradosso
insito nel comunicato del PDL emerge in tutta la sua enormità: aliene rispetto
al dettato costituzionale non sono infatti le conseguenze derivanti
dall’eventuale decadenza di Berlusconi dalla carica di senatore, ma le
argomentazioni utilizzate da Alfano per delineare il baratto scellerato tra il
salvacondotto al Cavaliere e la sopravvivenza dell’Esecutivo. Non a caso, costituzionalmente
inaccettabile.
Carlo
Dore jr.
cagliari.globalist.it
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