Berlinguer
non era triste: in ottantotto pagine scandite da una scrittura limpida e
scorrevole, Marina Addis Saba (già Docente di Storia contemporanea
nell’Università di Sassari) propone uno spaccato autentico della dimensione umana di
quello che, a quasi trent’anni dalla sua improvvisa scomparsa, i progressisti
italiani ancora considerano come il loro leader di riferimento. Sono appunti di
viaggio, quelli della Addis: gli appunti di un viaggio alla scoperta di una
personalità complessa nella sua struggente semplicità; di un viaggio condotto
al fianco di un uomo capace di affrontare i passaggi decisivi della storia
recente con la stessa folle determinazione con cui sfidava le onde del golfo
dell’Asinara.
Berlinguer
non era triste: non era triste nelle partite di calcio disputate tra le piazze
di Sassari, e non era durante le lunghe passeggiate per le strade di Roma; non
era triste nelle lunghe estati spese accanto al mare di Stintino, e non lo era
quando Paolo Sylos Labini iniziava a suggerire le parole destinate a cambiare
per sempre la storia della sinistra, a rappresentare i caratteri di
quell’endemica “diversità comunista” di cui il fango Tangentopoli ha in effetti
confermato l’esistenza: “questione morale”.
Berlinguer
non era triste: era un uomo curioso, silenzioso ed introspettivo, che non
rinunciava mai a navigare verso il futuro. Ascoltava le ragioni di quei settori
del mondo femminile che si opponevano al compromesso storico (rimarcando le
incolmabili distanze culturali in essere tra la modernità delle donne
progressiste e il conservatorismo delle donne cattoliche) con la stessa
attenzione con cui tentava di comprendere il disagio delle realtà giovanili che
non si riconoscevano nella strategia del PCI; rappresentava lo sgomento dei
comunisti dinanzi al brutale assassinio di Aldo Moro, ma respingeva ogni accusa
di collateralismo tra il PCI ed i gruppi dell’estremismo brigatista mosse da
quanti attendevano dai comunisti un ripensamento sul loro modo di interpretare
la sinistra. “Non si rinnega la storia: né la propria , né quella degli altri.
Si cerca di capirla, di superarla, di crescere, di rinnovarsi nella
continuità”. Aperto e orgoglioso, disponibile rigoroso: questo era Berlinguer,
e non era triste.
No,
Berlinguer non era triste: attraverso il suo ricordo del Segretario, la Addis
finisce indirettamente col proporre una spietata denuncia dei limiti della
politica personalizzata che sta segnando il lungo inverno della Seconda Repubblica,
col rilevare la malcelata debolezza che contraddistingue ogni forma di
leadership individuale, ora fondata sull’arroganza del potere economico, ora
sulla retorica giovanilista del rinnovamento fine a sé stesso, ora sulla
reiterazione dell’insulto sotto forma di verità rivelata per il cieco popolo
del web. Berlinguer aveva carisma, ma la sua non è mai stata una leaderhip esclusivamente
carismatica: Berlinguer era un figlio del partito, non muoveva grandi capitali,
prediligeva la discussione al fidelismo senza se e senza ma.
No,
Berlinguer ha conquistato il popolo della sinistra con la sua capacità di
credere nella via europea al socialismo, con la sua visione solidaristica del
Mondo quale alternativa allo scontro tra gli opposti imperialismi, con la sua
idea di politica intesa quale ricerca dell’interesse comune e non come rete di
privilegi e guarentigie affidata al controllo di “boss e sotto-boss”. Ma il
popolo della sinistra si è riconosciuto anche in quella figura di uomo onesto
dal sorriso appena accennato, che ritrovava la propria dimensione tra le strade
di Roma e il mare di Stintino. E’ a quella figura che i progressisti continuano
a guardare, nella disperata ricerca di un punto di riferimento da opporre a
quanti ritengono che il concetto stesso di sinistra debba essere sacrificato
sull’altare della modernità; è quella figura di uomo onesto dal sorriso appena
accennato che i progressisti italiani continuano a considerare il loro leader
di riferimento: perché Berlinguer non era triste.
Carlo
Dore jr.
(cagliari.globalist.it)
Nessun commento:
Posta un commento