Alle
primarie per la scelta del segretario del PD in programma il prossimo 8 dicembre sosterrò la candidatura di Gianni Cuperlo: la sosterrò come estremo
tributo di coerenza alle idee in cui non ho mai smesso di credere; la sosterrò
per necessità; la sosterrò, consapevole del fatto che potrebbe essere la mia
ultima volta con una tessera di partito in tasca. Coerenza; necessità; ultima
volta.
Come ha intelligentemente
evidenziato Filippo Ceccarelli in un suo recente editoriale, c’è aria di festa
a Matteolandia: Renzi procede nella sua trionfale ascesa ai vertici del partito
accompagnato dalla rumorosa fanfara di supporter, artisti, sedicenti
intellettuali e transfughi provenienti dai vari settori di quel che resta del
centro-sinistra. Il giubbotto esibito a beneficio delle telecamere di Maria De
Filippi si sposa perfettamente con la battuta sempre pronta in punta di lingua.
“Voglio i voti di Berlusconi e quelli di Grillo; voglio restare a Palazzo
Vecchio; voglio essere leader di partito; voglio correre per la premiership”.
Voglio, voglio, voglio: ma cosa vuole fare da grande, il fu Rottamatore?
La Leopolda ribolle di entusiasmo
autentico quanto le statuette del David vendute in Piazza della Signoria.
Matteo vince perché piace, ma soprattutto piace perché vince: e allora, tutti
con Matteo, uno strapuntino alla tavola del vincitore val bene qualche salto
mortale ideologico. Eppure, nel profluvio di parole che scandiscono i tempi
della marcia trionfale, ce n’è una che a Matteolandia si evita accuratamente di
pronunciare: partito. Che modello di partito ha in mente, il popolo riunito
accanto ai binari della Leopolda? La risposta risuona assordante, nel silenzio
imbarazzato di fedelissimi della prim’ora e professionisti della conversione a
comando: partito? Che bizzarria! La Leopolda è solo una stazione, e il partito
è solo un treno in corsa alla volta di Palazzo Chigi.
Una fastidiosa sensazione di già
visto si diffonde tra quanti, dell’interminabile calvario della sinistra
italiana, sono stati vittime prima ancora che testimoni: a Matteolandia non
hanno capito nulla. Non hanno capito che la crisi della sinistra è crisi
strutturale, prima ancora che crisi di leadership; è una crisi che ha avuto
inizio proprio con la scelta di procedere all’eutanasia dei partiti, alla
demolizione delle strutture di mobilitazione, all’anteposizione del carisma del
leader rispetto alla consistenza del progetto politico, alla santificazione
delle primarie come mezzo di selezione alternativo rispetto alla tradizionale
formazione della classe dirigente. No, a Matteolandia non hanno capito: non
hanno capito che del modello del partito leggero, liquido e senza tessere,
Veltroni è stato il primo profeta, e Renzi è solo l’abile esecutore finale.
Eppure, le conseguenze
dell’eutanasia dei partiti – pervicacemente perseguita dal 2008 ad oggi – si
sono manifestate in tutta la loro drammatica evidenza in occasione della notte
dei 101: quando alcuni parlamentari selezionati tramite le primarie (fieri del
loro non essere “figli dell’apparato”) hanno in un colpo solo liquidato la
candidatura di Prodi al Quirinale, vanificato il tentativo di Bersani di dare
vita ad un autentico governo di cambiamento, consegnato nell’abbraccio mortale
delle larghe intese un partito paralizzato da faide interne e veti incrociati.
Un partito paralizzato; un partito che non decide; un partito che non si
schiera; un partito che non è partito.
Nel deserto cagionato dall’eutanasia
dei partiti, tenta di elevarsi, flebile ed isolata, la voce di Gianni Cuperlo: voglio fare il segretario a tempo pieno di un
partito da ricostruire; voglio fare il segretario di un partito che si schiera;
voglio fare il segretario di un partito vero. Parole semplici, di un dirigente
onesto che non ambisce a proporsi come il novello uomo della provvidenza;
parole semplici, di chi prova a declinare uno straccio di progetto politico.
Ecco, forse Cuperlo sa cosa vuol
fare da grande: per questo lo sosterrò. Me lo impone la mia coerenza, la
coerenza di chi preferisce continuare a credere nelle proprie idee e non è
disposto a barattarle con un posto alla tavola del vincitore; me lo impongono
le mie necessità, la necessità di individuare nella ristrutturazione dei
partiti la risposta alla crisi politica in atto, la necessità di chi ad un
partito degradato a comitato elettorale permanente di questo o quel leader in
carriera proprio non ha interesse a partecipare. Per questo, il prossimo 8 dicembre mi
presenterò regolarmente al seggio, con la mia tessera del PD in tasca. E sarò
con Cuperlo, anche se probabilmente sarà l’ultima volta.
Carlo
Dore jr.
(cagliari.globalist.it)
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