(Introduzione al dibattito pubblico: "Il Mondo di Berlinguer - Dialogo sulla politica internazionale del '900" svoltosi a Cagliari il 24 ottobre 2014. Sono intervenuti Antonio Rubbi, Vindice Lecis e Luisa Sassu)
“Noi siamo convinti che il mondo, anche questo
terribile, intricato mondo di oggi può
essere conosciuto, interpretato, trasformato, e
messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta
per questo obiettivo è
una prova che può riempire degnamente una vita”.
Dall’inizio della militanza
antifascista condotta tra le strade di Sassari e Roma fino alle ultime parole
scagliate con disperata determinazione contro il cielo di Padova in quella
maledetta notte di trent’anni fa, la vita di Berlinguer si è risolta in un
ostinato sforzo di comprensione delle dinamiche di un mondo in perenne
evoluzione, nell’incessante e pervicace tentativo di individuare
la via per la costruzione di un mondo migliore.
Ecco, un
mondo migliore: che mondo era quello di Enrico Berlinguer, figlio della
borghesia sassaresse divenuto il riferimento costante dei comunisti italiani,
democratico autentico destinato, suo malgrado, a combattere con un sistema
paralizzato dagli opposti imperialismi, leader silenzioso e mai disposto a
scivolare nella dimensione egocratica propria del “capo carismatico”? Era un mondo “terribile ed intricato”, attraversato da muri e
colonnelli, eroi e faccendieri, spie e uomini dello Stato, bombe e lacrime. Era
il mondo in cui Jan Palak bruciava insieme alla primavera di Praga, ed in cui i
militanti del PCI, che ancora non avevano del tutto metabolizzato il fantasma
dell’Ungheria, cercavano un
riferimento alternativo al mito della grande madre Russia, una dimensione autonoma dal sistema di pesi e
contrappesi partorito dal gelo di Jalta.
Berlinguer
vedeva lontano, ed aveva intuito la necessità
di risolvere la complessità del mondo che
lo circondava, elaborando un’alternativa allo scontro tra capitalismo e
sovietismo; Berlinguer vedeva lontano, e fu il protagonista di quell’alternativa. Un’alternativa fondata sull’interlocuzione con
Carrillo e Marchais, diretta ad affrancare i principali partiti comunisti d’occidente dall’orbita del PCUS; sul
socialismo dal volto umano, da praticare sotto l’ombrello della NATO; sul confronto continuo e
costante con Willy Brandt ed Olof Palm, primo abbozzo di costruzione di un
modello di “sinistra
europea; sull’idea
del compromesso storico, del fronte comune tra forze democratiche da
contrapporre alla minaccia di una deriva autoritaria che avrebbe potuto
trasformare Roma nella Santiago di Pinochet.
Un PCI
proiettato nella dimensione della sinistra europea, espressione di un
socialismo democratico e (come tale) non allineato alle determinazioni del
Cremlino, capace di superare la conventio ad excludendum e di accreditarsi
quale credibile forza di cambiamento per il governo del Paese: il “terribile, intricato
mondo” di Berlinguer
iniziava a trovare una sua logica; la “terza via”
tra capitalismo e rivoluzione era lo strumento
adatto per rileggere le storture, i limiti, le contraddizioni della società europea al
crepuscolo del XX secolo.
Ma quel “terribile, intricato
mondo” conservava
equilibri che non dovevano essere superati, e i depositari di quegli equilibri
spezzarono l’incedere
del sogno berlingueriano: il compromesso storico fu seppellito insieme al
cadavere di Moro in quella Renault rossa in via Caetani, nelle tenebre della più oscura tra le
notti di questa disgraziata Repubblica; e lo strappo da Mosca non fu
sufficiente ad integrare i comunisti italiani nella galassia delle forze
progressiste europee. La morte del Segretario, in definitiva, arrivò troppo
presto, talmente presto da impedirgli di replicare all’accusa di avere
trascinato il PCI in mezzo al guado: né
al governo né
all’opposizione, né
con la socialdemocrazia né con gli eredi
di quel che restava della Rivoluzione d’Ottobre.
Eppure,
anche a trent’anni
di distanza dall’ultima chiamata alla mobilitazione “casa per casa, sezione
per sezione”,
nel bel mezzo di un’epoca caratterizzata da diseguaglianze sempre
crescenti, in cui le fredde regole dell’economia e della finanza prevalgono sulla
componente solidale di una politica “disumanizzata”
proprio perché
percepita come lontana dalle istanze provenienti
dai settori più vulnerabili della società contemporanea,
il tentativo di Berlinguer di individuare una “terza via”
per costruire un mondo diverso riemerge in tutta
la sua dirompente attualità. Affrancandoci
per un attimo dalla dimensione di una politica post-ideologica, tutta
concentrata sulla banale esaltazione dell’uomo solo al comando, il ricordo del Segretario
continua infatti ad offrirci un punto di vista privilegiato per comprendere ed
interpretare il “terribile, intricato mondo” in cui ci
troviamo a vivere: un punto di vista che oggi cercheremo di sfruttare nel
migliore dei modi, come dei nani a cui è
concesso, per una volta, di salire sulle spalle
di un gigante.
Carlo Dore jr.
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