“Ce lo chiede l’Europa”: il costante
richiamo alle superiori (e, spesso, imperscrutabili) strategie elaborate nei
palazzi di Strasburgo costituisce l’argomento più utilizzato per sterilizzare
ogni pericolosa discussione in ordine all’attuazione di quei processi di
riforma potenzialmente irricevibili per parte dell’area democratica italiana. “Ce lo chiede l’Europa”: è dunque
l’Europa a chiedere una semplificazione del procedimento legislativo, una
riduzione della rappresentatività democratica, una forma di governo
caratterizzata dalla centralità del potere esecutivo e dalla graduale erosione
delle prerogative del Parlamento. “Ce lo
chiede l’Europa”: è l’Europa che invoca il superamento del bicameralismo
paritario, fossilizzando l’Italia nel vicolo cieco costituito dall’alternativa
tra una Costituzione inconcepibile e una non – Costituzione.
“Costituzione inconcepibile”, “non –
Costituzione”. Il vicolo cieco a cui ho appena fatto cenno deriva da un
colossale equivoco in ordine all’esistenza del patto costituente, di quel
“compromesso alto” tra forze politiche rappresentative di interessi
contrapposti ma unite da un substrato di valori comuni, presupposto
indispensabile per individuare (riprendendo le parole di Calamandrei e
Zagrebelsky) il sistema di regole che i popoli si danno quando sono sobri, a
valere per quando saranno ebbri.
Ora, un simile substrato di valori
comuni – ravvisabile, con riferimento ai protagonisti dell’Assemblea
costituente, nell’afflato libertario della Resistenza e della lotta al nazifascismo
– non poteva evidentemente supportare il Patto del Nazareno: il popolo del
centro-sinistra non può infatti condividere alcun valore con gli esponenti di
un partito il cui leader indiscusso risulta – alla luce di quanto disposto
dall’art. 54 della Carta Fondamentale, nella parte in cui impone ai titolari di
pubbliche funzioni di adempiere le stesse con disciplina e onore – di fatto
estraneo al sistema costituzionale vigente. Ma se una Costituzione figlia del
Patto del Nazareno sarebbe stata qualificabile come “Costituzione
inconcepibile”, una Carta generata da una mera “prova di forza” della
maggioranza politica attuale semplicemente “non” sarebbe una Costituzione, non
sussistendo quel “compromesso alto” in cui il patto costituzionale si concreta.
Chiamati a prendere atto della
mancanza delle condizioni necessarie per rimettere mano alla Carta, i
sostenitori del processo riformatore in atto si trincerano dietro la
reiterazione del mantra: “voi non volete le riforme, ma le riforme ce le chiede
l’Europa!”. Vale dunque la pena di chiedere: quali riforme l’Europa, nella sua
dimensione di comunità democratica, chiede
all’Italia? Quali riforme sono davvero necessarie per riallineare il
nostro Paese alle grandi democrazie occidentali? Forse, l’approvazione di una
legge anti-corruzione, eterna promessa di una stagione di governo che fatica a
trovare il suo zenit; forse, la riforma del reato di falso in bilancio,
autentica voragine del nostro ordinamento penale; forse, una riforma del
sistema universitario che, lungi dal recepire l’aberrante distinzione tra
atenei di “serie A” e di “serie B”, offra una concreta prospettiva di crescita
a quanti hanno deciso di impegnarsi nella ricerca scientifica.
Tutte proposte di riforma, quelle
appena indicate, che presuppongono l’attuazione dei principi contenuti nella
Carta Fondamentale, e che non ne impongono in alcun modo lo stravolgimento. Perché
l’Europa, alla fine, questo ci chiede: di riconoscere l’attualità e la vitalità
della nostra Costituzione, e non di fossilizzare il Paese nel vicolo cieco
costituito dall’alternativa tra la Costituzione inconcepibile e la non –
Costituzione.
Carlo
Dore jr.
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