<<Perché ha vinto la cultura della corruzione
rispetto alla cultura della Costituzione? Perché hanno vinto le regole secondo
le quali la funzione pubblica viene esercitata per ottenere privilegi per sé e
per coloro che fanno parte del sistema anziché nell’interesse di tutta la
comunità? Io credo che le regole di Tangentopoli abbiano prevalso perché non è
attraverso un processo penale che si può risolvere un problema endemico come la
corruzione in Italia. Le indagini di Mani Pulite hanno infatti contribuito a
svelare un sistema sommerso ma incredibilmente diffuso, rispetto al quale il
processo penale può solo dare risposte specifiche su quel che è già successo.
Altri avrebbero dovuto assumersi la responsabilità di prevenirlo>>.
Tangentopoli,
ventitre anni dopo: il pamphlet di Gherardo Colombo ripercorre le tappe
fondamentali di una rivoluzione mancata, raccontando le speranze e le delusioni
intrecciate dai destini dei protagonisti dell’indagine che davvero poteva
cambiare l’Italia. “Lettera a un figlio su mani pulite” non offre solamente un
lucido spaccato del clima da basso impero che ha fatto da contorno al
crepuscolo della Milano da bere, la descrizione obiettiva del sistema di corruzione
istituzionalizzata che ha travolto la Prima Repubblica: no, questo libro è
qualcosa di più, e, per certi versi, qualcosa di peggio. E’ il ritratto
impietoso di un Paese incapace di autoriformarsi, è il filo rosso che disvela
la connessione mai interrotta tra un passato da non dimenticare e un presente
senza speranza.
Cosa
è stata Mani Pulite? E’ stata la scintilla che poteva bruciare la prateria: è
stata l’arresto di Mario Chiesa, avvenuto in un coriandolio di mazzette umide
esplose dalle tubature del Pio Albergo Trivulzio. E’ stata “l’isolata mela
marcia” che ha deciso di rivelare i segreti del resto del cestino; è stata la
ricostruzione del sistema di potere governato dalla logica della “dazione
ambientale”: la corruzione era divenuta regola inderogabile, tutti pagavano
perché le tangenti erano considerate “fisiologicamente” dovute.
La
gente trasudava rabbia e indignazione, i magistrati vennero (loro malgrado)
eletti a nuovi eroi popolari: l’invettiva di Craxi contro il sistema dei
partiti finì sommersa sotto un mare di monetine, il volto terreo di Forlani
inchiodato al banco dei testimoni divenne l’icona di una classe dirigente al
capolinea. Condanna dopo condanna, patteggiamento dopo patteggiamento,
prescrizione dopo prescrizione, la Prima Repubblica era pronta a collassare,
gli equilibri insuperabili che per mezzo secolo avevano retto le sorti del
Paese venivano di colpo spazzati via da un irrefrenabile afflato legalitario.
Questa è stata, Mani Pulite: un indagine giudiziaria, che alimentava il sogno
di un’Italia diversa.
Poi,
cosa è successo? Cosa ha trasformato quel sogno in una rivoluzione mancata?
Perché la corruzione ha prevalso sulla cultura della Costituzione? E’ successo
che il favor populi verso l’azione degli inquirenti è venuto meno
quando le inchieste hanno iniziato ad investire, oltre ai grandi della
politica, anche quei tanti cittadini comuni che del sistema della dazione
ambientali erano comprimari o testimoni consapevoli; è successo che il vento
del cambiamento è stato intercettato non dagli epigoni della questione morale,
ma dagli stessi grand commis della
Milano da bere, abili nel trasformare, agli occhi dell’opinione pubblica, le
indagini del pool di Borrelli in una violenta battaglia politica, mobilitando
il Paese in una sorta di conflitto permanente tra i guelfi della legalità e i
ghibellini dell’impunità. E’ successo, più in generale, che una politica
incapace di autoriformarsi ha di fatto integralmente demandato alla
magistratura l’improprio ruolo di forza moralizzatrice della res publica: l’area del “moralmente
inaccettabile” è stata artificiosamente obliterata in quella del “non
penalmente rilevante”, e lo strumento legislativo è stato spesso utilizzato non
per favorire l’attuazione dell’interesse generale, ma per garantire la
conservazione di privilegi e immunità.
Il
resto è cronaca: dalla “cricca degli appalti” alla rete della P4, il sistema
della dazione ambientale sembra avere recuperato la sua originaria efficienza,
e della stagione di Mani Pulite rimane solo il ricordo, che le pagine di
Colombo saldano alla stretta attualità. Il ricordo di una stagione attraversata
dal sogno di un Paese diverso; il rimpianto, intenso e bruciante, che
accompagna ogni rivoluzione mancata.
Carlo
Dore jr.
(cagliari.globalist.it)
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