Raccontare
la storia di Estella significa raccontare la storia di una generazione: una
generazione forgiata dal fuoco di due guerre, riscaldata dall’eco delle canzoni
partigiane, nutrita dalle ceneri di Auschwitz, e capace di riversare la forza
di quell’esperienza nella Costituzione del ’48, in quel modello di democrazia
parlamentare di cui legislatore attuale non sembra percepire la vitalità.
“Proletaria
nel profondo”, “rivoluzionaria professionale”, Teresa Noce nasce partigiana:
nasce cioè come donna di parte che condivide l’odio di Gramsci per gli
indifferenti, per i mediatori, per i pontieri, per i professionisti della
contiguità rispetto ai centri di potere. Applicandone per un attimo la visione
agli schemi della politica attuale, è lecito supporre che il “Partito della
Nazione” sarebbe apparso ai suoi occhi come un’anomalia inconcepibile, che le
malcelate corrispondenze tra forze progressiste e vecchi militanti della destra
più estrema sarebbero state indicate come la peggiore tra le aberrazioni.
Teresa
Noce nasce partigiana, e da partigiana attraversa i momenti più drammatici
dell’epoca dei grandi totalitarismi: dalla guerra di Spagna alla resistenza
francese; dai lager di Ravensbruk e Holleischen al crollo del nazismo; dalle
ferite dell’Italia liberata dal fascismo all’entusiasmo che supportava la
ricostruzione di un Paese in ginocchio. Fuoco, canzoni, cenere, forza: la
storia di Estella è la storia della battaglia di Guadalajara, con gli italiani
del battaglione Garibaldi costretti a combattere contro le milizie di
compatrioti inviate da Mussolini a sostegno del Generalissimo Franco, e
scambiate poco prima per truppe di supporto; è la storia della Marsigliese con
cui le strade di Parigi soffocavano gli ordini delle SS, per simboleggiare,
ancora una volta, la supremazia della forza di un’idea su un’idea basata
esclusivamente sull’uso della forza; è la storia della conferenza sui diritti
delle donne, organizzata nel chiuso di una baracca della morte, supremo
sussulto di dignità di un gruppo di deportate che non volevano rassegnarsi ad
un destino apparentemente ineluttabile; è anche la storia di un partito che
ancora conservava la propria duplice dimensione di casa – caserma,
dimostrandosi tanto capace di mobilitarsi per alleviare la fame dei bambini di
Milano quanto inflessibile nel sanzionare i propri militanti che avevano ceduto
alla tentazione di un piatto di lasagne.
Ma
nella storia di Estella c’è anche altro: c’è il lavoro di parlamentare,
dedicato principalmente alle leggi sulla maternità e sulla parità del salario;
e, prima ancora, c’è l’esperienza dell’Assemblea Costituente, contrassegnata,
in particolare, dal rifiuto di assecondare le indicazioni di Togliatti in
ordine all’approvazione dell’art. 7 della Carta, che attribuisce rilevanza
costituzionale ai Patti Lateranensi. La tattica del Migliore - finalizzata a
garantire la legittimazione democratica del PCI dinanzi al Vaticano, e ad
arginare le pulsioni reazionarie di Papa Pacelli – e la necessità di rafforzare
il compromesso tra masse socialiste e popolo cattolico (lucidamente
rappresentata negli scritti di Franco Rodano) non piegarono l’anima della
rivoluzionaria professionale: i Patti Lateranensi costituivano pur sempre un
baluardo del ventennio, e come tale andavano superati.
La
storia di Estella, si diceva, è la storia di una generazione: delle sue
battaglie, dei suoi successi e dei suoi fallimenti. Ma proprio mentre la sua
narrazione volge al termine, questa storia ci affida almeno due spunti di riflessione,
alla luce dei quali è possibile procedere ad una più attenta analisi del
percorso riformatore intrapreso, forse incautamente, dal legislatore attuale.
Una Costituzione, per sua natura, non si identifica nella semplice espressione
della volontà di una contingente maggioranza politica, ma si basa su un
“compromesso alto” tra partiti di diverso orientamento, uniti da un substrato
di valori comuni. Con riferimento all’Assemblea Costituente, questo substrato
comune risedeva proprio nella partecipazione di tutte le sue componenti al
percorso della Resistenza e della Liberazione: la Costituzione, in altri
termini, nasce dallo stesso fuoco, dalle stesse ceneri, dalle stesse canzoni,
dalla stessa forza da cui è permeata la storia di Estella.
Ecco
perché il legislatore attuale avrebbe il dovere di dedicarsi all’elaborazione
di riforme ispirate all’attuazione dei principi della Carta, piuttosto che
procedere nella pericolosa avventura di una revisione costituzionale di fatto
sostenuta solo da alcune componenti della maggioranza parlamentare: perché quel
substrato di valori comuni in grado di supportare il compromesso alto in cui si
identifica il patto costituente allo stato non esiste. Perché il legislatore
attuale non ha una storia come quella di Estella da poter raccontare.
Carlo
Dore jr.
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