domenica, settembre 10, 2006


WORLD TRADE CENTER
“…contro il terrorismo sempre, con Bush mai…”

Nella giornata di oggi, il Mondo intero si fermerà per ricordare le vittime degli attentati che, in quel pomeriggio di cinque anni fa, colpirono al cuore gli Stati Uniti d’America. Ogni singolo istante che scandì l’evolversi di quegli eventi è indelebilmente impresso nella memoria di tutti i nostri contemporanei, come i frammenti degli incubi più terribili, che ritornano alla mente dopo il risveglio malgrado gli sforzi compiuti per dimenticarli.
Ma quel giorno l’incubo non svanì con i primi raggi del sole, facendo prepotentemente irruzione nella realtà sotto forma di aerei impazziti scagliati con precisione distruttiva contro il World Trade Center, simbolo per antonomasia della più importante potenza occidentale. E mentre le edizioni straordinarie dei telegiornali trasmettevano in diretta le raccapriccianti immagini delle persone che cercavano invano salvezza lanciandosi nel vuoto prima del crollo delle due Torri, allo sgomento e alla costernazione cagionata da quegli eventi si affiancavano i timori per gli scenari di politica internazionale celati sotto le macerie di Ground Zero.
Tuttavia, i suddetti scenari avevano iniziato a delinearsi dal momento in cui quello che Michael Moore coraggiosamente definì (secondo una traduzione a dir poco libera) “l’imbelle delfino di un Presidente guerrafondaio” completò la sua ascesa alla Casa Bianca. Ideatore di una strategia di potere diretta a collocare sotto il diretto controllo statunitense una serie di “Stati canaglia” , Gorge W. Bush ha utilizzato l’argomento della lotta al terrorismo per riaffermare una concezione degli equilibri mondiali sostanzialmente coincidente con quella che aveva caratterizzato gli anni della guerra fredda. Seminando il panico in una popolazione ferita, egli di fatto ha invocato uno sorta di scontro tra civiltà, attribuendo all’Occidente il compito di imporre il vangelo della democrazia ai fanatici infedeli.
Anche grazie ad una congiuntura politica favorevole che rendeva la comunità internazionale quasi integralmente asservita ai voleri di Washington, il petroliere texano ha così scagliato un offensiva militare senza precedenti nei confronti di alcuni dei paesi oggetto della suddetta strategia, quali l’Afghanistan e l’Iraq. Tutti coloro i quali tentavano di opporsi ad un simile status quo, rilevando come i valori democratici non possono essere imposti ad un popolo attraverso l’uso delle bombe, venivano puntualmente additati come disfattisti e come fiancheggiatori di Al Quaeda, e di conseguenza travolti dalla cieca ostinazione con cui i governi di Spagna, Inghilterra ed Italia sostenevano la nuova crociata americana.
Ma l’infelice esito del conflitto iracheno ha fatto esplodere in tutta la sua evidenza la macroscopica contraddizione che stava alla base del disegno strategico perseguito dalla White House: la guerra (intesa come fenomeno convenzionale di contrapposizione militare tra Stati) non può costituire lo strumento utile per fronteggiare un nemico senza nome né volto, e capace per giunta di colpire il suo avversario all’improvviso in contesti del tutto estranei al terreno di scontro.
E così, mentre Bin Laden rimane un fantasma inafferrabile ed Al Quaeda dimostra quotidianamente la sua immutata pericolosità, le guerre di Bush continuano a mietere vittime tra civili inermi e militari il più delle volte spinti a partecipare a pericolose operazioni non da elevati ideali patriottici ma dalla semplice e comprensibile prospettiva di alleviare il disagio che caratterizza la loro condizione nel paese d’origine.
Di fronte al crescente numero di morti cagionati dai conflitti attualmente in atto, agli orrori verificatisi nelle segrete di Abu Grahib e nel campo di prigionia di Guantanamo, ai proclami razzisti scagliati a reti unificate da uno scalcinato tribuno sciaguratamente investito di un incarico ministeriale, alle sporche logiche a cui troppo spesso la politica si adegua, sorge spontanea l’osservazione secondo cui, a cinque anni di distanza da quel maledetto 11 settembre, questa dimensione dell’Occidente democratico non rende onore ai caduti delle Torri Gemelle.
La loro memoria trova la giusta celebrazione in una realtà ben diversa: nella realtà del popolo della pace, disposto a riversarsi nelle strade e nelle piazze per dimostrare, attraverso un gesto semplice come l’esposizione di una bandiera arcobaleno, la propria contrarietà ad una politica radicalmente inidonea ad assicurare la diffusione della democrazia. La riaffermazione del valore della pace in confronto di tutte le strategie di potere basate su autentiche guerre di aggressione costituisce infatti il modo più efficace per ricordare quanti persero la vita in nome della libertà.

Carlo Dore jr.

1 commento:

Carlo Dore jr. ha detto...

“Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai solo delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che predicava”. Nella sua lezione a Regensburg, Ratzinger ha preso in prestito queste parole da un antico dialogo tra l’imperatore bizantino Michele Paleologo e un interlocutore musulmano. La citazione si è inserita in un più ampio discorso, nel quale Benedetto XVI ha aspramente criticato l’Islam radicale e ha suscitato vivaci polemiche, giunte nei suoi confronti non soltanto dal mondo musulmano ma anche da autorevoli mezzi di informazione occidentali.
Comprensibile la critica del pontefice, ma di questi tempi tali citazioni appaiono quantomeno inappropriate; l’amministrazione Bush continua a minacciare l’Iran, in Iraq prosegue la guerra civile, il Libano è appena stato raso al suolo da Israele, in Afghanistan prosegue la violenza e la situazione tra Israele e Palestina è stabile, quindi ben lontana da una conclusione.
Inevitabili sono giunte le reazioni del mondo Musulmano, profondamente turbato dalle dichiarazioni su Maometto e, come al solito, le anime più radicali dell’Islam non hanno perso l’occasione per agitare le folle, promettendo la distruzione e la conquista di Roma e tenendo sempre alta l’attenzione sullo jihad.
E non sono mancati fantocci raffiguranti Benedetto XVI dati alle fiamme nei paesi islamici, a dimostrazione che ogni minima occasione diventa un pretesto per ulteriori minacce.
Inoltre può forse essere ricollegato a questi disordini il barbaro omicidio di Suor Leonella Sgarbati a Mogadiscio, città nella quale la religiosa italiana viveva da più di 30 anni, e dove è stata salutata da una folla immensa.
C’è l’impressione che in occidente spesso si dimentichi il modo in cui si vive in tanti paesi musulmani, l’estrema povertà che caratterizza tante, troppe persone; in questa situazione non è certo difficile manovrare la popolazione fino a reclutare disperati pronti, per raggiungere il Paradiso e le vergini, a lasciare la mancanza di prospettive che caratterizza la vita terrena.
A supporto del fatto che le parole di Ratzinger siano giunte in un momento sbagliato è stato pubblicato un pesante editoriale sul New York Times, che definisce pericolose le parole di Ratzinger e ricorda che quando era ancora cardinale il papa aveva già dato dimostrazione di queste sua insofferenza verso il mondo islamico prendendo posizione contro l’ingresso della Turchia in Europa
Benedetto XVI, consapevole che le sue dichiarazioni sono state formalmente sbagliate e della facilità con cui potevano essere manovrate, ha cercato di porre rimedio, senza comunque arrivare a chiedere scusa ai seguaci di Maometto.
L’imbarazzo del pontefice è risultato evidente, costringendolo a tornare più volte sulle sue dichiarazioni , ribadendo di non voler attaccare l’Islam, di voler spingere verso la pace e di apprezzare la religione musulmana.
L’ultimo tentativo del pontefice è stato poi quello di incontrare gli ambasciatori dei paesi musulmani autorizzati presso la santa sede.
La situazione, che rimane sempre terribilmente incandescente, è negli ultimi giorni leggermente migliorata e, a dimostrazione di una maggiore tranquillità nei rapporti Occidente - Islam, son giunte le parole del presidente iraniano Ahmadinejad, che a New York ha affermato di rispettare la figura del papa.
E’ questo il primo intervento giunto in questi giorni dal mondo islamico volto a gettare acqua sul fuoco, ed è molto importante che giunga dal leader dell’Iran, paese al centro dell’attenzione globale e nel quale il potere è tutto in mano alle autorità religiose.
In ogni caso però il clima rimane incandescente, i sentimenti anti-occidentali sono sempre pronti a esplodere e ogni minimo caso crea grossi disordini.
Proprio per questo l’attenzione dei leader occidentali e delle autorità religiose deve essere rigorosa e bisogna evitare ogni rischio di creare scompiglio, ben sapendo qual sia la situazione politico-religiosa degli stati a prevalenza musulmana e di quanto sia facile far emergere l’odio antioccidentale.
L’ampio discorso fatto dal pontefice a Ratisbona era principalmente rivolto all’Europa e al mondo Cristiano, reo di aver smarrito il timore di Dio, e nonostante ciò un’unica citazione, ha portato questa crisi nei rapporti tra Benedetto XVI e il mondo islamico, che è un mondo al suo interno troppo vario e complicato, per essere facilmente compreso da noi occidentali.

Emilio Spanu