domenica, giugno 15, 2008


La duplice opposizione e la “Rana delle Favole”


Prendendo atto del rinnovato clima di confronto costruttivo e legittimazione reciproca creatosi tra le forze politiche di maggioranza e opposizione all’indomani delle elezioni del 14 aprile, i tanti elettori che – soprattutto in applicazione della c.d. “teoria del voto utile”a fermare comunque le destre – avevano accordato il loro consenso al PD non riuscivano a mascherare una sottile, fastidiosa sensazione di disagio.
Possibile –si sono più volte domandati gli irriducibili sostenitori dello sgangherato schieramento dei progressisti italiani – che i dirigenti del centro-sinistra, preposti in quanto tali a rappresentare quella parte di società civile da sempre schierata a protezione dell’autonomia della Magistratura e del corretto funzionamento delle Istituzioni democratiche, possano individuare in Berlusconi e nella sua corte di nani e ballerine il naturale interlocutore per il dialogo sulle riforme? Possibile che la nefasta esperienza della Bicamerale – D’Alema venga alla lunga derubricata come un insignificante errore di strategia? Possibile che il Caimano si sia di colpo trasformato in un illuminato premier liberale, presentandosi come una moderna versione di quelle rane delle favole capaci di assumere i connotati di meravigliose principesse dagli occhi azzurri grazie ad un semplice tocco di bacchetta magica? Fortunatamente, esiste un’ampia fetta di popolo della sinistra la quale, avendo rinunciato da tempo ad ogni possibile astrazione dalla fredda realtà contingente, ha ormai raggiunto la piena consapevolezza del fatto che, se è difficile che Veltroni si trasformi in Obama, è praticamente impossibile che Berlusconi si cali nel ruolo della simpatica rana delle favole.
E così, mentre i maggiorenti del PD risultavano impegnati nello stucchevole gioco del governo-ombra, quella sottile inquietudine che fino a ieri pervadeva i militanti dell’area democratica non poteva che lasciare il posto ad un naturalissimo sconcerto dinanzi alle anticipazioni giornalistiche relative ai primi provvedimenti che l’Esecutivo intende assumere in materia di intercettazioni e sicurezza.
Le conseguenze che potranno infatti derivare dall’approvazione di misure dirette a limitare l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche ai reati punibili con pena superiore ai dieci anni di reclusione e ad attribuire all’esercito mansioni inerenti all’ordine pubblico appaiono facilmente prevedibili. La presenza dei “pattuglioni” di militari per le strade di Roma (triste riedizione delle parate che avevano luogo nei viali di Santiago all’inizio degli anni ’70) farà da contraltare al totale svilimento delle funzioni della magistratura requirente, nel quadro di un progetto di politica criminale in cui le tanto invocate misure di protezione della sicurezza dei cittadini sono destinate ad esaurirsi nella semplice repressione di alcune situazioni collegate al dramma dell’immigrazione clandestina e nella corrispondente impossibilità di perseguire reati pur contraddistinti da un altissimo livello di pericolosità sociale come la corruzione, la truffa, la rapina o i delitti associativi non connessi al fenomeno mafioso.
Considerato inoltre che l’approvazione di una disposizione transitoria volta ad impedire l’utilizzo, nei procedimenti in corso, del materiale probatorio acquisito attraverso intercettazioni non compatibili con le nuove norme implicherebbe la brutale cancellazione di anni e anni di lavoro di indagine (oltre a garantire la sostanziale impunità al solito manipolo di indagati eccellenti), la previsione di sanzioni penali a carico dei giornalisti che rendono pubblico il contenuto di ogni forma di intercettazione non può che essere interpretata come una statuizione diretta non tanto a garantire la privacy del comune cittadino – le cui conversazioni non sono mai oggetto di interesse da parte dei mass media –, ma ad impedire di fatto la diffusione nell’opinione pubblica di notizie non compatibili con i messaggi che quotidianamente promanano dai centri di potere. In altre parole: al di là dei riferimenti al confronto ed alla legittimazione reciproca, al di là delle esortazioni a considerare conclusa la stagione dell’odio, il Caimano è sempre il Caimano, e non ha ancora smesso di mostrare la sua faccia feroce.
Di fronte ad un simile status quo, all’indignazione che trapela dalle reazioni dell’Associazione Nazionale Magistrati e della Federazione Nazionale della Stampa ed alla mancanza di determinazione che caratterizza le dichiarazioni dei vari esponenti del governo-ombra, il popolo progressista è atteso da cinque lunghissimi anni di duplice opposizione: opposizione al rigido modello di Stato azienda teorizzato da Berlusconi, sempre più incline a togliere rilevo ogni corrente di pensiero contrastante con la voce del Principe; opposizione ai fautori del ma-anchismo e della politica deideologizzata, presupposto indispensabile per la creazione di un centro-sinistra dotato di un gruppo dirigente finalmente capace di assecondare quel bisogno di giustizia e di legalità che emergeva tanto dalle manifestazioni del Palavobis quanto dalle iniziative dei ragazzi di Locri. E questa duplice fase di opposizione non può che prendere le mosse dall’accettazione di quella difficile realtà a cui si è in precedenza fatto cenno: se da un lato è vero che Veltroni è privo del substrato ideologico e della base di consenso che sta spingendo la corsa di Obama verso la Casa Bianca, è d’altro lato innegabile che sia l’esperienza della Bicamerale –D’Alema sia i primi provvedimenti del “Berlusconi quater” confermano come non sia possibile trovare Rane delle Favole nei giardini di Villa Certosa.

Carlo Dore jr.

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