mercoledì, ottobre 07, 2009


LODO ALFANO: IL PRIMATO DELL’EGUAGLIANZA SULLA VOLONTA’ DEL “PRIMUS SUPER PARES


Le reazioni proposte all’opinione pubblica da alcuni esponenti della maggioranza di governo dopo la lettura del dispositivo della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del c.d. “Lodo Alfano” per violazione degli artt. 3 e 138 della Carta Fondamentale si collocano nella stessa linea di ragionamento che aveva caratterizzato le arringhe svolte dagli avvocati Ghedini e Pecorella nell’udienza tenutasi ieri dinanzi all’Alta Corte.
Premesso infatti che “se la Legge è uguale per tutti, non necessariamente lo è la sua applicazione”, specie in un sistema politico imperniato sulla figura di un Presidente del Consiglio reso qualificabile dalla legittimazione popolare alla stregua di un “primus super pares”, ecco che qualsiasi fattore in grado di intralciare il progetto del Princeps (dalle sentenze della Consulta alle parole del Capo dello Stato, dalle inchieste dei giornali alle opinioni espresse nei salotti televisivi da qualche sparuto opinionista indipendente) viene per forza di cose inquadrato nell’ambito di un più ampio progetto eversivo, volto a ribaltare per via “mediatica e giudiziaria” le inequivocabili indicazioni provenienti dal corpo elettorale.
Tuttavia, ad un osservatore equilibrato non sfugge come, lungi dal delineare prospettive di eversione, attraverso la decisione di oggi la Consulta abbia voluto ristabilire tre fondamentali principi, già rappresentati dai cento costituzionalisti che più volte hanno rilevato i molteplici profili di incostituzionalità che caratterizzavano le norme indubbiate.
In primo luogo, il Giudice delle Leggi ha voluto ribadire come, essendo contenuta nella Costituzione la disciplina delle immunità previste a favore dei soggetti chiamati a ricoprire un incarico istituzionale, deve individuarsi nella legge di revisione costituzionale (approvata attraverso il procedimento aggravato di cui all’art. 138 Cost.) lo strumento idoneo a determinare l’introduzione nell’ambito dell’ordinamento di una disposizione volta a garantire la sospensione dei processi nei confronti del Presidente del Consiglio o delle altre Alte Cariche dello Stato.
In secondo luogo, la Corte ha escluso la compatibilità della regula iuris contenuta nella disposizione in esame con il dettato dell’art. 3 comma 1 della Carta Fondamentale. Posto infatti che tutti i cittadini sono eguali dinanzi alla Legge, senza distinzioni di sesso, lingua, razza, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, la creazione di una cerchia di soggetti resi di fatto “legibus soluti” dalla volontà degli elettori rappresentava un chiaro superamento di quel principio dell’eguaglianza formale sui cui il nostro ordinamento si fonda.
Ma soprattutto, mediante la pronuncia in commento, il Giudice delle Leggi ha confermato come, anche in un momento storico in cui le determinazioni dell’Uomo solo al comando tendono a prevalere sulle debolezze della politica, favorendo la graduale affermazione del Potere Esecutivo e la corrispondente riduzione del Parlamento al ruolo di mero organo di ratifica delle decisioni assunte a livello governativo, le Istituzioni di garanzia come la Magistratura, il Capo dello Stato e la Corte Costituzionale sono ancora in grado di impedire l’affermazione delle logiche ispirate all’adagio “L’Etat c’est moi” a cui il Presidente del Consiglio sembra fare costantemente riferimento. Anche in questa Italia alla deriva, la cultura delle regole e della legittimità di cui il principio di eguaglianza è espressione può ancora prevalere sull’incontrollabile vocazione monocratica che di frequente caratterizza le scelte del “primus super pares”.

Carlo Dore jr.

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