lunedì, dicembre 21, 2009


IL PD E L’EDITTO DI BONN: “PARTITO DA COMBATTIMENTO” O “FAIR PLAY IDIOTA”?

Se proviamo per un istante a cancellare i fotogrammi della deprecabile aggressione di cui il Presidente del Consiglio è stato vittima la scorsa domenica, emerge come le ultime immagini di Berlusconi offerta ai network di tutto il Mondo si riferiscono al discorso tenuto a Bonn in occasione della convention del PPE, quando il Premier – ricorrendo ad un linguaggio forse più adatto ad un caudillo sudamericano che ad un moderno conservatore europeo – ha proposto ai principali leader del Vecchio Continente la sua personalissima concezione di democrazia.
I passaggi fondamentali di questo ennesimo “editto” del Cavaliere possono essere così sintetizzati: il consenso popolare mi attribuisce il diritto di governare in base a quelli che sono i miei intendimenti; e se il “partito dei giudici” mi sbarra la strada sollevando fastidiose questioni di legittimità costituzionale, allora si cambi la Costituzione, si neutralizzino le toghe militanti, si “bonifichi” la Corte Costituzionale dalle preconcette posizioni di un manipolo di “giudici di sinistra”.
Dinanzi ad affermazioni di questo tenore, la reazione di tutti i partiti di opposizione avrebbe dovuto essere ispirata tanto alle parole di Carlo Azeglio Ciampi quanto agli avvenimenti che hanno scandito lo svolgimento del NO-B. DAY del 5 dicembre: piazze piene, indignazione crescente, elettori e militanti mobilitati per gridare a tutta forza che l’adagio: “L’etat c’est moi” non è compatibile con le dinamiche di una democrazia proiettata nel XXI secolo.
Invece, anche all’interno del PD, al modello del “partito da combattimento” tratteggiato da Bersani durante la campagna per le primarie – del partito cioè schierato in prima linea nelle battaglie sui grandi temi della legalità, del lavoro e della giustizia sociale – è stata ben presto contrapposta quella che Franco Cordero ha efficacemente definito come la strategia del “fair play idiota”: la strategia di quanti, invocando il superamento dell’antiberlusconismo e la necessità di rilanciare il dialogo sulle riforme, legittimano ancora una volta il Cavaliere come interlocutore credibile anziché denunciarne (sempre secondo l’autorevole giurista torinese) la dimensione di “affarista ignorante, caimano, criminofilo, guastatore dell’ordinamento, gaffeur sguaiato sulla pelle italiana”.
Sia l’esperienza della bicamerale del 1996 sia soprattutto quella della “nuova stagione” veltroniana del 2007 confermano però come il progetto volto a costringere Berlusconi a sedersi al tavolo delle regole per suggellare un nuovo patto costituente si traduce in un percorso tanto pericoloso nella sua attuazione, quanto irrealizzabile nel suo obiettivo finale.
Pericoloso, in ragione del fatto che le troppe incertezze manifestate dal PD su temi centrali come la giustizia e le riforme istituzionali - incertezze alimentate dalle improvvide sortite di alcuni parlamentari in cerca di visibilità – contribuiscono ad alimentare confusione nell’ambito di un elettorato che, in ragione dell’ascesa alla segreteria di un dirigente del calibro di Bersani, aveva appena ricominciato a credere nella possibilità di costruire una seria alternativa di governo per il Paese.
Irrealizzabile, se si considera che le riforme a cui mira il Cavaliere (dal legittimo impedimento al processo breve; dalla costituzionalizzazione del Lodo Alfano al ripristino delle immunità parlamentari; dalla separazione delle carriere di giudici e PM alla revisione dei criteri di composizione del CSM e della Consulta), lungi dal perseguire un interesse generale, mirano esclusivamente a superare gli equilibri delineati da una Costituzione talmente viva e vitale da rappresentare il principale ostacolo alla deriva egocratica che Berlusconi vorrebbe imporre all’Italia.
Partendo dunque dal presupposto che l’aggressione di domenica scorsa non può cancellare la gravità delle dichiarazione contenute nell’editto di Bonn, la correttezza della posizione di Corsero emerge in tutta la sua evidenza: non c’è spazio per il dialogo, serve un PD mobilitato a difesa dell’integrità dell’ordinamento e dei principi ispiratori della Carta Fondamentale. In altre parole, per contrastare un premier sempre più simile ad un caudillo sudamericano che ad un leader europeo, serve un “partito da combattimento”, capace infine di non ricadere nel letale tranello del “fair play idiota”.

Carlo Dore jr.

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