mercoledì, aprile 11, 2012

L’IGIENISTA, IL TROTA E LA MALEDIZIONE DI CALIGOLA



“Caligola? Non è l’Imperatore romano divenuto famoso per aver nominato senatore il suo cavallo?” La leggenda del regale quadrupede asceso, per l’improvvida volontà del suo princeps, dalla miseria della stalla alla gloria del seggio senatoriale costituisce la dannazione eterna dell’irrequieto figlio di Germanico, passato non a caso alla Storia come l’emblema del nepotismo spudorato e un po’ cialtrone che spesso caratterizza l’esercizio del potere in Italia.

Caligola, l’Imperatore che nominò senatore un cavallo: la memoria del Monarca non trova pace. Quel cavallo è la sua maledizione, una maledizione tramandata di era in era, che ha rischiato dall’oggi al domani di essere esorcizzata da una maledizione più potente, dalla leggenda di un nepotismo ancora più esasperato, dal mito di un potere ancora più arrogante e beota di quello che scandiva le ultime stagioni dell’Urbe: il mito dell’Igienista e del Trota.

Si tratta di una leggenda che ha pochi punti di contatto con i marmorei fasti della Roma imperiale, e che si dipana lungo il sentiero di nebbia tra Arcore, Gemonio e Pontida, nella terra in cui gli epigoni di Asterix hanno piegato lo spadone di Umberto da Giussano alle fredde logiche del Biscione di Mediaset. La Lega di lotta e di governo è stato il braccio armato del “ghe pensi mì”, le leggi ad personam il tributo versato al Dio Po’ per la conquista della Roma Ladrona.

Protagonisti di questa strana leggenda non sono imperatori, consoli e pretoriani, ma una bella igienista dentale dalle forme giunoniche e dal sorriso da copertina e l’immaturo rampollo di un politico di lungo corso, le cui velleità di carriera erano state in un primo tempo spazzate via da una battuta al curaro del lungimirante genitore: “Lui il mio delfino? Per ora è una Trota…”.

L’Igienista e il Trota: la leggenda comincia così. Insondabili infatti sono i sentieri del potere: le curve mozzafiato della bella igienista si rivelano un autentico toccasana per le ferite vere o presunte di un vecchio egoarca sempre in ballo tra Palazzo Chigi e il lettone di Putin, e le logiche del “tengo famiglia” si rivelano assai più pressanti della delusione paterna per un diploma più usucapito che conseguito. I rispettivi princeps guidano l’ascesa dell’Igienista e del Trota: non verso il seggio senatoriale già occupato dal regale quadrupede, ma verso un posto blindato nel parlamentino lumbàrd. Basta e avanza per rievocare il mito di Caligola: l’Imperatore chiede alla Storia la revisione del suo processo, magari contando su uno sconto di pena grazie al combinato disposto dell’indulto e della Cirielli. In fondo, un cavallo val bene un Trota.

Ma la leggenda lascia d’un colpo spazio alla fredda cronaca, e il Tribunale della Storia sa essere più inflessibile della Cassazione: l’Igienista si ritrova ben presto catapultata dal banco consiliare al banco degli imputati, con l’accusa di essere la disinvolta organizzatrice dei bunga bunga di Arcore, la prima ballerina del desolante can – can destinato ad allietare le cene eleganti dell’inquilino del lettone di Putin e dei suoi attempati sodali. Le bizze dello spread spazzano via il Biscione di Arcore e gli spadoni di Alberto da Giussano, mentre il Trota deve riguadagnare in fretta e furia la strada per Gemonio, inseguito dagli sberleffi di mezza Italia e dalle immagini che lo immortalano intento ad intascare banconote dal suo autista di fiducia, testimonianza inconfutabile di un uso quantomeno disinvolto del denaro degli epigoni di Asterix.

L’Igienista e il Trota: la loro leggenda finisce in miseria, la Storia li ha inghiottiti, insieme alla vecchia fola della Lega che combatte contro Roma Ladrona e del “ghe pensi mì” in salsa berlusconiana. L’Igienista e il Trota: due piccoli fantasmi della Seconda Repubblica che non sono riusciti a esorcizzare la maledizione di Caligola, condannato in via definitiva da un cavallo a rappresentare di era in era l’icona degli eccessi di un potere fuori controllo. Nonostante l’Igienista, nonostante il Trota, nonostante gli ultimi fuochi dell’arroganza spudorata e un po’ beota che per anni hanno animato le notti di Arcore e i raduni di Pontida, e che ora sono destinati a spegnersi poco a poco tra le macerie di questo Paese alla deriva.

Carlo Dore jr.

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