mercoledì, aprile 23, 2014

L'ESERCITO DEI MORTI

L’esercito dei morti sfilerà per le strade d’Italia come ogni 25 aprile, più forte di ogni tentativo di revisione, più forte di ogni operazione diretta a creare una memoria condivisa attraverso la promiscua sovrapposizione di vittime e carnefici, più forte di ogni colpo di spugna presentato come programma di pacificazione nazionale. L’esercito dei morti sfilerà ancora, con il suo insieme di bandiere, canzoni, storie e ricordi: sfileranno le immagini di Pertini e di Gramsci, di Lussu e Gobetti, dei fratelli Cervi e di Giaime Pintor; sfileranno di nuovo, lungo i grandi viali della storia: per ricordarci da dove veniamo, per ribadire ancora una volta come lo sguardo rivolto al futuro non può che risultare alterato dalla falsa rappresentazione del passato più o meno recente.
L’esercito dei morti sfilerà per noi, che saremo per le strade come ogni 25 aprile: per entusiasmarci ancora, con le bandiere e la Costituzione in mano; per entusiasmarci ancora, con il dolcissimo sapore che lasciano le note di “Bella ciao” intonate in punta di labbra. Sì, ci entusiasmeremo ancora, riappropriandoci della nostra dimensione di democratici autentici, figlia legittima di una storia che non vogliamo né rivedere, né dimenticare. Ci entusiasmeremo ancora, ma guarderemo quelle strade, e forse scopriremo di essere sempre in meno ad accompagnare l’incedere dell’esercito dei morti. Cercheremo i compagni di un tempo, quelli che sfilavano con noi quando il 25 aprile davvero riempiva piazze e cuori. Li cercheremo, e finiremo col chiederci: dove sono, ora? Dove sono, tutti quanti?
La risposta risuonerà come uno schiaffo, attraverso un manifesto flagellato dal primo sole della festa d’aprile, attraverso le pagine di un blog, o attraverso le parole affidate alle copertine dei TG: la risposta si tradurrà nel sorriso accativante di un giovane dal ciuffo ribelle, o negli occhi spiritati di un giullare prestato alla politica, che promette epurazioni di massa e che invoca la versione 2.0. della Marcia su Roma. Ecco dove sono finiti, i compagni di un tempo: inghiottititi dal culto dell’Uomo forte, risucchiati nel buco nero di un post-ideologismo che sacrifica ora sull’altare del rinnovamento sempre e comunque, ora su quello della protesta ad ogni costo le grandi passioni, gli slanci intellettuali, le radici culturali che da sempre animano i progetti politici di ampio respiro.
Le differenze si obliterano in ragione delle “nuove esigenze della società che cambia”, la fidelizzazione al capo politico travolge in un battito di ciglia il “metodo democratico” che dovrebbe contraddistinguere il funzionamento dei partiti dell’arco costituzionale, la stessa Carta Fondamentale – principale prodotto della lotta di liberazione -  rischia di essere “rottamata” dai protagonisti della nuova modernità. E la rivendicazione dei grandi ideali, il senso di appartenenza ad una storia comune, la necessaria ed irrinunciabile pratica del “vizio della memoria” vengono degradati a vuote astrazioni da professoroni alteri, a oziosa litania celebrativa dell’esercito dei morti.
Guarderemo quelle strade sempre meno affollate, allora: e non potremo non sentirci un po’ più soli, smarriti nel bel mezzo di questa maledetta epoca sbagliata. Guarderemo quelle strade, svuotate da comici rivoluzionari e da giovani depositari delle chiavi del futuro, ma forse la nostra solitudine troverà un minimo di conforto nella celebrazione dell’esercito dei morti: il buco nero del post-ideologismo non ci ha inghiottiti, abbiamo un ricordo da celebrare, abbiamo una storia da raccontare, abbiamo dei progetti da spendere in faccia ai diktat dell’Uomo forte. Perché l’esercito dei morti continua a sfilare per i viali della Storia, perché il pensiero e l’esempio dei Pertini, dei Gramsci, dei Lussu e dei Cervi risulta ancora più vivo e vitale dei tweet sparati sulla rete degli attori che calcano la scena della politica attuale. E perché noi siamo ancora in strada, ad entusiasmarci per il passaggio dell’esercito dei morti, e ad accompagnarne l’incedere gridando: “ora e sempre, resistenza”.

Carlo Dore jr.

(cagliari.globalist.it)

Nessun commento: