sabato, luglio 02, 2016

DALLA NOTTE DEI 101 AL DDL RENZI – BOSCHI: VERSO UNA ROTTAMAZIONE DELLA CARTA?

La mia introduzione all'iniziativa svoltasi ieri a Cagliari, con Chiara Geloni, Alfredo D'Attorre e Luisa Sassu.

L’operazione diretta a ripercorrere i passaggi fondamentali dell’iter che ha condotto all’approvazione del ddl Renzi –Boschi non può esaurirsi nella ricostruzione delle varie fasi del procedimento formativo di una legge che pure è destinata a condizionare in modo decisivo gli equilibri democratici del Paese nel prossimo futuro.

No, la sostituzione, in seno alla commissione affari costituzionali, dei parlamentari del PD critici verso la linea del Governo, la continua minaccia del ricorso al voto di fiducia, il pervicace tentativo di liquidare ogni voce critica come espressione dei sepolcri imbiancati della conservazione fine a sé stessa, la generale tendenza a risolvere il confronto sul tema delle riforme istituzionali in uno scontro frontale tra paladini del rinnovamento e cultori del disfattismo meritano di essere esaminati anche sotto un altro profilo: quello – più squisitamente politico – del disagio che pervade una fetta dell’area democratica allo zenit della stagione del cambia-verso. Un disagio quotidianamente alimentato dalla forza ineludibile di un semplice interrogativo: siamo di fronte a un progetto di riforma compatibile con lo spirito della buona manutenzione costituzionale che ispira l’art. 138, o ad un brutale tentativo di rottamazione della Carta?

Proprio il concetto di rottamazione costituisce la fonte di questo disagio, il filo rosso che tiene unite le ragioni di quella fetta di sinistra che proprio non vuole abbandonarsi alla mistica dell’Uomo forte: le pulsioni innovatrici degli oplites della Leopolda si sono infatti ben presto convertite in una strategia di leadership finalizzata non a favorire un fisiologico ricambio a livello di classe dirigente – supportato dal democratico confronto tra differenti visioni di politica generale -, ma a determinare la sostanziale neutralizzazione di alcuni dirigenti ben individuati, neutralizzazione messa a punto tra un pranzo ad Arcore e un mail bombing, tra un tweet al vetriolo e il fuoco amico esploso nella notte dei 101. Una strategia di leadership imperniata sulla presenza di un nemico da abbattere, che il patto del Nazareno ha trasformato in un programma di governo elaborato in danno di chi, per non vincolarsi ai termini di quell’accordo inconcepibile, aveva perfino rinunciato alla poltrona di Palazzo Chigi.

Ma quella strategia non vive di respiro proprio, priva  com’è del retroterra culturale e dei legami con il tessuto sociale necessari ai progetti politici per poter declinare un’idea di futuro: ha bisogno di un nemico per auto-legittimarsi, per rinnovare l’esistenza di quello scontro generazionale di cui la generazione – Telemaco (comprimario dell’Odissea inopinatamente elevato a icona della new age italiana) costituisce l’ipertrofica proiezione.
Ecco, l’impressione è che la materia delle riforme rappresenti l’occasione per individuare questo nuovo nemico da abbattere, il terreno d’elezione per riaffermare la leadership degli innovatori: sono nemici da abbattere i membri della commissione affari costituzionali che non si piegano ai desiderata del Governo; sono nemici da abbattere gli accademici che denunciano le contraddizioni e i limiti del bicameralismo sciancato conseguente all’elaborazione del “nuovo Senato”; sono nemici da abbattere gli stessi senatori, costretti a votare in diretta per la loro autodistruzione.

E il disagio di quella parte dell’area democratica che non crede nella stagione del cambia-verso, di quella fetta di sinistra che non cede alla retorica dell’Uomo forte si converte in un dissenso più percepibile: perché un Paese ancora attanagliato da una crisi profonda non può rinunciare al sistema di equilibri che ha permesso alla nostra democrazia di superare indenne il ventennio berlusconiano per ridare linfa a una leadership asfittica; perché una rottamazione della Carta rappresenterebbe, nei fatti, un sacrificio insostenibile: per la povera sinistra, e per la povera Italia.

Carlo Dore jr.


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