venerdì, novembre 15, 2019

QUELLA POLITICA DEBOLE CHE NON SI RIFORMA PER LEGGE


Di seguito, il testo dell'intervento svolto in occasione del dibattito dal titolo: Taglio dei parlamentari - Rappresentanza politica e legge elettorale svoltosi a Cagliari il 14 novembre 2019.


La legge di revisione costituzionale del 12 ottobre 2019 offre diversi spunti di riflessione, che investono non solo e non tanto il suo contenuto (relativo alla, forse oltre misura, invocata riduzione del numero dei parlamentari), quanto le modalità che ne hanno caratterizzato l’approvazione. Modalità che generano svariati interrogativi sull’idea di Costituzione che anima le forze politiche impegnate nell’approvazione della riforma, e, prima ancora, sull’idea di democrazia di cui le stesse forze risultano portatrici.
In questo senso, il primo degli interrogativi al quale si è appena fatto cenno viene ispirato dall’immagine (grottesca o sconfortante, a seconda dei punti di vista) dei parlamentari del M5S che festeggiano in piazza l’approvazione della riforma con tanto di forbici di cartapesta brandite a beneficio di telecamere. Chiaro il messaggio all’opinione pubblica: via gli sprechi, via i politici inefficienti, via privilegi e borboniche guarentigie. In tre parole: "costituzionalizziamo il Vaffa".
Tuttavia, premesso che le considerazioni elaborate in occasione del referendum del 2016 pongono più di un dubbio sulla reale entità del risparmio che la riduzione del numero di deputati e senatori assicurerebbe alle casse dello Stato, è lecito chiedersi: può la determinazione degli assetti di una democrazia esaurirsi nella prospettiva dickensiana del “due penny sono due penny”? E l’inefficienza denunciata dagli alfieri del forbicione cartonato dipende da un malfunzionamento dell’istituzione parlamentare (dunque da riformare) o dall’inadeguatezza di chi in quell’istituzione vive e opera?
Ancora: a seguito della formazione di una maggioranza di governo diversa da quella che ha sostenuto l’Esecutivo in carica dal maggio 2018 all’agosto 2019, la legge in commento è stata approvata con il voto favorevole di gruppi parlamentari che ad essa si erano opposti nelle precedenti letture (e di deputati e senatori che, ad oggi, sono paradossalmente impegnati nella raccolta delle firme per promuovere il referendum confermativo). Le ragioni di un simile cambiamento di rotta si risolvono ora in argomenti di brutale realpolitik ("la politica è l’arte del compromesso: era necessario concedere al M5S il taglio dei parlamentari per porre fine alla deriva fascioleghista"), ora nell’impegno, intervenuto tra i partiti della stessa maggioranza, a elaborare un ulteriore pacchetto di riforme volto a razionalizzare il sistema costituzionale, nonché ad avviare il confronto che dovrebbe condurre all’approvazione di una legge elettorale di impostazione proporzionale.
Detto però che gli ulteriori interventi sulla Carta Fondamentale sono esposti alle forche caudine del procedimento aggravato e che sulla legge elettorale l’intesa tra i sostenitori del Governo in carica sembra tutt’altro che prossima, non si può non chiedere se la Costituzione – nella sua più alta accezione di complesso di regole che presiede al funzionamento del gioco democratico, destinato in quanto tale a rimanere estraneo all’indirizzo politico di governo – possa essere degradata a merce di scambio tra le varie forze politiche impegnate nella formazione di una sorta di Gabinetto d’emergenza, scambio per giunta ispirato alla perplimente logica del “oggi in contanti – domani a credito”.
Dickens e “i due penny sono due penny”; costituzionalizzazione del “vaffa”; la Carta fondamentale ridotta a merce di scambio nell’indirizzo politico di maggioranza. Che idea di Costituzione, che idea di democrazia alimenta questa riforma?
Dubbi, domande, opacità, che confluiscono in un interrogativo più generale: perché tutte le maggioranze (di differente colore ed orientamento) alternatesi dal 1994 ad oggi hanno tentano di mettere mano alla Carta costituzionale, malgrado il corpo elettorale – per ben due volte negli ultimi quindici anni – ne abbia confermato attualità e vitalità? E perché nessuna delle suddette maggioranze ha mai provato ad individuare nella Costituzione quel “programma politico” al quale ispirare la sua azione, magari partendo da una proposta di legge volta a regolamentare il funzionamento dei partiti politici, restituendoli alla dimensione di strumento di partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato, ad essi assegnato dall’art. 49 Cost?
Dubbi, domande e opacità, che inducono a pensare ad una politica debole che tenta di scaricare sulle istituzioni la propria strutturale mancanza di un’idea di democrazia degna di tale nome, nella speranza che il forbicione cartonato dell’ennesima legge di revisione costituzionale basti a sopperire all’incapacità di riformare sé stessa, assecondando le istanze che provengono dal corpo elettorale. Perché è la politica, nei suoi protagonisti e nelle sue articolazioni, a necessitare di una penetrante riforma: e la politica, in quanto tale, non si può riformare per legge.

Carlo Dore jr.

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