martedì, marzo 07, 2006


Più sinistra nel centro – sinistra
PARTITO DEMOCRATICO: DIVAGAZIONI SUL TEMA

Le recenti dichiarazioni di Oliviero Di liberto attraverso cui il segretario del Pdci manifestava l’esigenza di spostare più a sinistra il baricentro dell’Unione hanno riproposto il problema relativo agli assetti ed agli equilibri del futuro Partito Democratico, così definendosi il soggetto politico che verrà prodotto all’indomani delle elezioni del 9 aprile dalla definitiva fusione tra DS e Margherita.
Tali dichiarazioni possono a mio avviso costituire oggetto di due considerazioni essenziali, relative tanto all’opportunità di procedere alla formazione del suddetto partito, quanto alla connotazione ideologica che questo finirà con l’assumere.
Premesso che l’idea di un partito unico del centro – sinistra (di cui il costituendo Partito Democratico rappresenta una sorta di versione su scala ridotta) risultava perfettamente logica ed altamente funzionale nell’ambito di un sistema bipolare ispirato ai principi del maggioritario, il progetto in esame perde gran parte della sua ragion d’essere se rapportato ai criteri di stampo proporzionale a cui è ispirata la legge elettorale appena entrata in vigore.
Un simile sistema esalta all’ennesima potenza la funzione del partito in quanto portatore di una determinata ideologia ed espressione degli interessi di certe componenti della società. Essendo chiamati ad esprimere la loro preferenza per un singolo partito e non più per il candidato rappresentativo di una intera coalizione, è possibile che gli elettori manifestino la tendenza ad accordare più facilmente il loro voto ad una forza politica che li rappresenta appieno piuttosto che ad un soggetto derivante dalla coesione di differenti realtà.
Tuttavia, ammesso che la solare esigenza di rafforzare la leadership di Romano Prodi in seno al centro-sinistra (fino ad ora, è bene precisarlo, messa in discussione solamente dalle anime moderate dell’Unione) possa effettivamente giustificare la perdita del sostegno di quegli elettori che potrebbero non riconoscersi in questa sorta di alleanza riformista, ci si domanda quale collocazione ideologica tale partito debba assumere nell’ambito della coalizione.
Questo interrogativo tormenta incessantemente i militanti della sinistra in generale e dei DS in particolare, i quali si trovano a dovere assistere alla progressiva deriva moderata in cui la Quercia appare ormai irreversibilmente coinvolta.
Siffatta tendenza è stata recentemente confermata tanto dalle determinazioni aventi ad oggetto l’impostazione della campagna elettorale (ispirata ad un profilo talmente basso da indurre, tra l’altro, i vari leaders dell’Ulivo a non denunciare con la dovuta incisività il rischio che una eventuale vittoria del centro-destra rappresenterebbe per il Paese, considerata la gravità delle macchie che caratterizzano il passato di molti esponenti azzurri) quanto dalle spesso infelici scelte relative alla formazione delle liste di “Uniti nell’Ulivo” per Camera e Senato.
L’esempio della Sardegna è in questo senso drammaticamente illuminante: ad affiancare Arturo Parisi (il capolista della Margherita dimostratosi tanto solerte quanto intempestivo nel sollevare la questione morale in confronto della dirigenza diessina nei giorni in cui il polverone Unipol assumeva le sue massime proporzioni) saranno alcuni mostri sacri della politica isolana, la cui fedeltà alla strategia in commento è stata premiata malgrado i molteplici fallimenti che costoro hanno riportato nel corso delle loro interminabili carriere.
La deriva moderata cui ho fatto precedentemente riferimento rischia di trovare proprio nel Partito Democratico il suo momento culminante, determinando la completa trasformazione della principale realtà della sinistra italiana nella semplice corrente riformista di una forza saldamente ancorata centro.
Per scongiurare il rischio della formazione di un partito senza identità e lontano dagli orientamenti della maggioranza del suo elettorato (la quale sarebbe così costretta a trovare nei movimenti più radicali il suo nuovo punto di riferimento), occorre che il nuovo soggetto politico non rinunci, in ragione della necessità di ottenere il consenso dei moderati, alla sua connotazione di grande componente del socialismo europeo, facendosi ancora portatore di quel patrimonio di idee e valori a cui gli eredi di Gramsci e Berlinguer non possono non continuare ad ispirarsi. E in questo senso, il richiamo di Diliberto alla necessità di imporre “più sinistra nel centro-sinistra” finisce con l’ apparire quantomai appropriato.
Carlo Dore jr.

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