sabato, novembre 18, 2006


PANSA: LE TROPPE BUGIE DE “LA GRANDE BUGIA”.


In una lunga intervista rilasciata a “L’Unione Sarda”, Giampaolo Pansa ha riproposto anche ai lettori del più importante quotidiano dell’Isola le principali argomentazioni che stanno alla base della sua ultima “Grande Bugia”.
Avendo ormai definitivamente assunto il ruolo di primo difensore dei “Vinti” della Guerra di Liberazione, di quelle migliaia di pretesi desaparecidos le cui vicende sarebbero state sistematicamente occultate dalle ricostruzioni della Resistenza proposte dai tanti storici afferenti all’egemone cultura di sinistra, l’Autore si è attribuito il merito di avere finalmente dato “voce ai moderati”, rivelando una volta per sempre le “troppe balle” su cui il PCI avrebbe impostato la formazione ideologica dei suoi militanti.
Tuttavia, una volta superato lo sconcerto per l’entusiasmo che le parole del giornalista piemontese continuano a destare nei nostalgici di tutta Italia (ed in particolare in quei Cagliaritani che, il 25 aprile, non esitano a prendere parte alle funzioni religiose che si svolgono in memoria dei “martiri” della RSI ed a ribadire la veridicità del ridicolo assunto secondo cui “Mussolini era un dittatore benigno che mandava gli oppositori in vacanza ai confini”) e per la sostanziale indifferenza con cui i leaders dei DS assistono ai continui attacchi rivolti ai valori di cui l’ Antifascismo costituisce espressione, le tante Grandi Bugie di Pansa non possono non essere oggetto di qualche considerazione al veleno.
Allorquando lo scrittore di Casale Monferrato afferma che la storia italiana è vittima della perversa logica in forza della quale “chi vince parla e scrive, chi perde sta zitto e tace”, egli finisce col dimenticare una delle realtà che con maggiore evidenza emergono dalle pagine di quella stessa storia di cui il suo libro dovrebbe rappresentare una nuova lettura. Per oltre vent’anni i “Vinti” in camicia nera ebbero infatti modo di manifestare la loro reale natura, di esprimere i valori a cui essi aderivano: le spedizioni punitive, le torture di piazza, gli omicidi a sangue freddo, la brutale soppressione di ogni libertà individuale si rivelarono infatti ben presto i principi – cardine del loro credo politico; le parate in Piazza Venezia, i Tribunali Speciali, l’Asse Roma-Berlino le modalità attraverso cui tali principi trovarono attuazione.
Al grido “La storia siamo noi!”, i partigiani portarono avanti non una semplice guerra di ideologie, ma una vera e propria battaglia diretta alla realizzazione di un Sogno: quello di consegnare alle future generazioni un Paese libero dal giogo che il Fascio aveva imposto. Pur con tutte le degenerazioni che fatalmente contraddistinguono ogni Guerra Civile (in cui l’esplosione di antichi rancori, la volontà di riparare vecchi torti e l’esaltazione giustizialista alimentano costantemente la ferocia dei conflitti che si consumano all’interno del medesimo popolo), la Resistenza offre in questo senso alcune certezze incontrovertibili: di fronte ad una lotta tra quanti si batterono per l’affermazione dei valori democratici e quanti scelsero di schierarsi a difesa delle grandi tirannie, il tentativo di equiparare vincitori e vinti, oppressi ed oppressori, vittime e carnefici costituisce l’autentica Grande Bugia di cui il Revisionismo si nutre.
Se del sacrificio compiuto da quanti persero la vita in nome dei suddetti valori i seguaci di Pansa non riescono a comprendere l’alto valore ideologico ed etico (mettendo tuttora in discussione la legittimazione storica dei principi proposti dalle forze politiche a cui i soggetti in questione facevano obiettivamente riferimento), del tanto sangue versato dai Vincitori della Guerra di Liberazione anche il più convinto fautore del revisionismo non può esimersi dall’avere rispetto.

Carlo Dore jr.

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