giovedì, ottobre 18, 2007


CRONACHE MARZIANE


Nelle intenzioni dei promotori, il Partito Democratico dovrebbe costituire uno straordinario fattore di rinnovamento nel panorama politico italiano ed europeo, uno strumento in grado di favorire l’effettiva partecipazione dei cittadini alla vita politica e sociale del paese. In questo messaggio hanno dimostrato di credere i tre milioni di simpatizzanti che, riaffermando ancora una volta i valori della buona politica in confronto delle vuote elucubrazioni dei cantori dell’antipolitica, hanno affollato i seggi delle primarie per conferire ai dirigenti della varie forze del centro-sinistra l’ennesima (e forse immeritata) delega in bianco.
Tuttavia, le tristi vicende che hanno caratterizzato l’ascesa di Antonello Cabras alla segreteria regionale del nuovo soggetto politico non risultano propriamente compatibili con questa prospettiva di cambiamento. Ora, mentre il conclave degli oligarchi di DS e Margherita è riunito in quel di via Emilia per celebrare l’incoronazione del nuovo deus ex machina della politica locale, per gli oppositori storici del progetto volto alla creazione del PD non rimane che lo spazio per alcune considerazioni al veleno.
Presentatosi agli elettori come il campione dell’antipolitica benedetto dai vecchi gauleiter della Casta nostrana, Mr. Tiscali ha per tre anni gestito la Regione come un semplice ramo della sua diversificata impresa, assecondato in questo senso dal totale immobilismo dei principali partiti della coalizione, incapaci di opporre una reazione allo strapotere del Presidente anche di fronte all’ingiustificata ed ingiustificabile rimozione di un assessore del calibro di Tonino Dessì, esponente storico della Quercia sarda ed autentico ispiratore delle linee principali del programma di Sardegna Insieme.
Insomma, le ambizioni dell’Uomo solo al Comando hanno a lungo coinciso con le trame dei baroni delle segreterie, impegnatisi nella creazione del Partito Democratico proprio per conservare intatta la rete di privilegi, clientele e sfere di influenza che del loro potere costituisce il sostrato fondamentale.
Tuttavia, fedele al principio secondo cui il monarca assoluto non riconosce alcuna autorità superiore, Soru ha osato spezzare gli equilibri individuati da Rutelli e Fassino attraverso la predeterminazione dei segretari regionali del nuovo soggetto politico, imponendo la propria candidatura per la guida dell’Ulivo sardo in violazione delle direttive che provenivano da Piazza Santi Apostoli.
Confidando nella semplice forza del consenso e dei numeri che dal consenso derivano, il Governatore ha preso atto con indifferenza della discesa in campo di Antonello Cabras, animale politico di lungo corso capace di dominare con facilità le dinamiche che governano la vita dei Palazzi del potere. Colpito a morte a causa di questo errore strategico, ha finito per forza di cose con l’essere stritolato dal perverso sodalizio tra le eterne nomenclature dei campioni del nuovo riformismo e le truppe cammellate della destra post-fascista, recatesi in massa alle urne nella speranza di contribuire all’apertura di una crisi di governo impensabile solo lo scorso aprile.
Così, mentre la quiete plumbea della ragion di Stato sembra prevalere sulle polemiche relative alle irregolarità del voto (risultando ora la sopravvivenza della Giunta appesa al filo rosso della conferma da parte del corpo elettorale dell’impresentabile legge statutaria), di fronte alle cronache marziane delle gesta di un gruppo dirigente che si dimostra disposto a barattare la stabilità dell’Esecutivo con la conservazione di un posto di potere –, i militanti del centro-sinistra sono tenuti ad interrogarsi una volta per tutte sull’idoneità di tale gruppo dirigente a rendersi interprete della straordinaria istanza di buona politica proposta dalla parte sana del popolo delle primarie.
Un leader che fonda la propria autorevolezza sulle logiche trasversali degli accordi clandestini raggiunti con gli esponenti delle stesse forze politiche che lo scorso sabato hanno invaso Roma con croci celtiche e saluti romani non può infatti considerarsi compatibile con quella prospettiva di cambiamento della res publica alla cui attuazione dovrebbe (nelle intenzioni promotori) essere funzionale il Partito Democratico.

Enrico Palmas
Carlo Dore jr.

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