sabato, ottobre 13, 2007


PARTITO DEMOCRATICO: UNA (BRUTTA) STORIA ITALIANA

In un articolo recentemente apparso su “L’Unità”, Maurizio Chierici ha proposto una sorta di ardita comparazione tra la situazione politica dell’Italia di oggi e la letale rete di ipocrisie, settarismo e giochi di potere che, nel non lontano 1973, contribuì a far scivolare il Cile verso la dittatura di Pinochet. La morale di questo appassionante scritto può essere così sintetizzata: al pari dei massimalisti Carlos Altamirano, coloro i quali dichiarano di volere “tutto e subito”- invocando l’attuazione di scelte coraggiose peraltro in linea con quanto previsto nel programma elettorale dell’Unione – finiranno non solo col paralizzare la lenta azione riformatrice impostata dal Governo-Prodi nella prima fase della legislatura in corso, ma anche col favorire il definitivo consolidamento del potere nelle mani di quel manipolo di squadristi in doppio petto che tuttora rappresenta lo zoccolo duro della destra post-fascista.
Il ragionamento di Chierici può, a mio sommesso avviso, costituire lo spunto per procedere alla formulazione di alcune riflessioni di ordine generale nel giorno in cui sono convocate le primarie per la Costituente del nuovo Partito Democratico, più volte descritto come la definitiva affermazione dell’antipolitica sui grandi ideali che hanno infiammato il ‘900.
Se infatti da un lato risulta del tutto condivisibile l’assunto in base al quale il radicalismo fine a se stesso (che inopinatamente spinge due importanti componenti della maggioranza parlamentare ad agitare lo spettro della piazza in confronto dell’Esecutivo, al fine di rimettere in discussione un protocollo sul welfare approvato dai lavoratori quasi all’unanimità) risulta per forza di cose incompatibile con qualsiasi progetto di rinnovamento, appare d’altro lato incontestabile l’affermazione secondo cui le scelte finora assunte dai dirigenti dei principali partiti del centro-sinistra non possono considerarsi ispirate al perseguimento di quella netta prospettiva di discontinuità invocata a tutta forza tanto dai ragazzi di Locri quanto dai metalmeccanici di Mirafiori.
In questo senso - ricordando le meravigliose esperienze del Palavobis, della mobilitazione movimentista e del “resistere, resistere, resistere!” urlato da Borrelli in faccia al Caimano in persona – il popolo progressista attendeva dall’Ulivo, in ordine alle materie della giustizia e della libertà di informazione, quella svolta radicale promessa da Prodi durante la campagna elettorale. Senza far ricorso alla logica del “tutto e subito”, gli elettori si trovavano nella condizione di poter ragionevolmente pretendere che l’abrogazione delle leggi-vergogna, l’istituzione di una commissione di inchiesta per accertare la verità sui fatti da “macelleria messicana” verificatisi a Genova nel 2001, l’elaborazione di una riforma dell’ordinamento giudiziario idonea ad assicurare la piena indipendenza dei magistrati impegnati in inchieste politicamente scottanti, l’immediata reintegrazione dei giornalisti epurati attraverso l’Editto di Sofia rappresentassero le priorità assolute nell’agenda del nuovo Governo.
Ciò malgrado, questa speranza non è stata assecondata a livello di scelte operative: come è noto, all’approvazione della scellerata legge sull’indulto non ha fatto seguito l’espunzione dal sistema delle leggi ad personam, ma l’entrata in vigore di una riforma del pianeta giustizia che - subordinando al suo trasferimento ad altra regione il passaggio di un magistrato dalla funzione giudicante a quella requirente– di fatto reintroduce nell’ordinamento quel sistema di separazione delle carriere di cui gli avvocati Ghedini e Pecorella avevano più volte affermato la necessità.
Per contro, mentre il disegno di legge che dovrebbe disciplinare il conflitto di interessi rimane insabbiato nelle more della procedura parlamentare, alcuni importanti membri dell’Esecutivo non hanno esitato a bollare come esempio di “tv-spazzatura” la trasmissione condotta da Michele Santoro, tradizionale icona del giornalismo di sinistra e, come tale, principale vittima della censura berlusconiana.
Tuttavia, dimostrandosi indifferenti tanto al malcontento che attraversa la Locride quanto al preoccupante favore con cui l’opinione pubblica accoglie le cieche invettive di un ex cabarettista riciclatosi come fustigatore dei costumi, i dirigenti di DS e Margherita non hanno ritenuto opportuno porre i temi appena richiamati al centro del dibattito relativo alla costituzione del nuovo soggetto politico, di fatto esauritosi in uno sterile confronto sulla determinazione delle candidature e sulla spartizione delle varie sfere di influenza.
Ma un partito che nasce dall’alto, ingessato da un sistema di liste bloccate utile a garantire ai vari capi-bastone il pieno controllo del processo costituente, non può – proprio in quanto privo di un programma elaborato accogliendo le indicazioni che quotidianamente provengono dalla base - in alcun modo favorire la partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese.
Di fronte all’inconsistenza della politica deideologizzata di Veltroni e Letta, alle ambizioni di Soru ed ai tatticismi di Antonello Cabras, coloro i quali invocano la puntuale attuazione del programma elettorale non possono essere semplicemente liquidati come gli estremi depositari del massimalismo di Altamirano, come gli ultimi irriducibili gruppettari impegnati nell’eterna ricerca di un altro ‘68.
Gli esponenti dell’ampia fetta di elettorato progressista che, rifiutando di conformarsi alle direttive provenienti da quella ristretta cerchia di oligarchi responsabile di avere favorito l’ascesa del Caimano a Palazzo Chigi, hanno scelto di non aderire al nuovo soggetto politico rappresentano in verità la parte migliore del popolo della sinistra. Essi continuano a pretendere dalle istituzioni quelle risposte concrete ai reali problemi della società italiana che i campioni del nuovo riformismo, oggi impegnati nella fase costituente del Partito Democratico, si sono finora rifiutati di affrontare.

Carlo Dore jr.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Forse non sarà il luogo più adatto per porre questo quesito, pero' ritengo che almeno qua ci sia un vero interesse per il futuro del nostro paese senza secondi fini egoistici. Vengo al dunque....come fa un ragazzo di vent'anni e in generale tutti i giovani, a creare una propria idea riguardo alla politica?. Come primo passo credo sarebbe opportuno avere delle conoscenze di base sulla storia del nostro paese e sull'organizzazione dello Stato. Ma qualcuno si è mai preoccupato di fare questo in modo costruttivo stimolando l'interesse di noi giovani? Cosa succederà quando noi giovani diventeremo grandi? Io mi sento un cieco in una terra di furbi. Un cortese saluto