domenica, febbraio 12, 2006


CRAXI E LA QUESTIONE MORALE.


Nella giornata di oggi, buona parte del mondo politico si è fermata a rendere omaggio alla memoria di Bettino Craxi, dalla cui scomparsa sono ormai trascorsi sei anni. A Milano in particolare, al cospetto di un commosso ed etereo Berlusconi, Bondi e Stefania Craxi (che ha peraltro colto l’occasione per annunciare la sua candidatura alle prossime elezioni politiche nelle liste di FI) hanno provveduto a ribadire i principi cardine del testamento morale ed ideologico di quello che lo stesso Fassino ha inopinatamente definito come uno dei padri del riformismo italiano: totale riabilitazione della classe politica facente riferimento al CAF; demonizzazione dell’operato dei magistrati che svelarono l’esistenza di quel complesso sistema corruttivo che costituiva la spina dorsale stessa della Prima Repubblica; qualificazione della sinistra postcomunista come l’avversario da contrastare con ogni mezzo.
Premesso che, alla luce dei postulati appena esposti, la candidatura della figlia dell’ex segretario socialista rappresenta nel migliore dei modi la continuità esistente tra quella stagione politica e gli ultimi giorni di gloria del Cavaliere di Arcore, è noto come le repentine beatificazioni costituiscano un’efficace cortina di fumo, utile a celare le indelebili verità della Storia. Ma queste verità impongono di considerare Craxi non come il protagonista di una nuova fase di rilancio dell’ideologia socialista, ma come il cinico esecutore di una strategia capace, in nome del profitto e del successo personale, di frustare all’ennesima potenza quella stessa ideologia.
Proponendo per primo, attraverso una gestione sfacciatamente faraonica del PSI, quell’idea di politica-spettacolo che tanti consensi riscuote al giorno d’oggi, egli consolidò la sua leadership grazie al sostegno offertogli da alcuni ben noti “parevenau” dell’imprenditoria, capaci di accumulare ingenti fortune anche attraverso i favori di cui godevano presso i salotti del potere.
Proprio con riguardo al modus operandi dei numerosi accoliti della Milano da bere, automunitisi nel frattempo della falsa aureola di moderni progressisti filo-occidentali, Enrico Berlinguer rilanciò la c.d. questione morale, rivendicando per i militanti del Partito Comunista la titolarità di quei valori democratici e morali che tuttora rappresentano (malgrado gli scivoloni in cui è recentemente incorsa la dirigenza diessina) il patrimonio ideologico a cui il popolo della sinistra può costantemente fare riferimento.
Gli eventi che sconvolsero il Paese all’inizio degli anni’90 confermarono la correttezza delle valutazioni del segretario del PCI: nel portare alla luce l’esistenza di quel sistema di corruzione istituzionalizzata di cui in precedenza ho tentato di proporre una breve descrizione, i magistrati del pool di Milano non costituirono il braccio armato di un disegno eversivo volto a minare gli equilibri democratici della Nazione. Nell’assoluto rispetto delle prerogative ad essi attribuite dall’ordinamento giuridico, essi si limitarono ad accertare (in base ad un teorema accusatorio in linea di massima accolto da una molteplicità di pronunce aventi l’autorità del giudicato) il coinvolgimento di numerosi esponenti della classe dirigente di allora in fatti di reato riconducibili alla corresponsione di somme di denaro a titolo di tangenti.
Posto che numerosi protagonisti degli anni di fango hanno poi scelto di tornare alla vita pubblica, forti di una verginità morale e politica che sicuramente non meritano, Craxi decise di concludere i suoi giorni sulle spiagge dorate della Tunisia, al fine di sottrarsi alla pena detentiva stabilita (al termine di un regolare processo) da una sentenza di condanna poi passata in giudicato, e di evitare il linciaggio da parte di un popolo intero, naturalmente indignato dalla gravità delle sue azioni.
Tuttavia, oggi la politica italiana gli ha tributato il suo commosso omaggio, assecondando una volta di più la tendenza a confondere gli inquirenti con i sicari, i martiri con i rei confessi e gli esuli con i latitanti. Ma anche le più ardite operazioni di revisionismo storico risultano inidonee a scalfire la portata di determinate verità, indelebilmente impresse nella memoria e nell’animo di quanti, affermando con orgoglio il proprio essere di sinistra, rivendicano ancora la propria supremazia morale rispetto ai seguaci di altre forze politiche, che recitarono un ruolo di primo piano in alcune delle più tristi vicende del nostro recente passato.

Carlo Dore jr.

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