domenica, febbraio 12, 2006


La deriva moderata e la supremazia morale della sinistra italiana

LA LUNGA MARCIA

La pubblicazione da parte de “Il Giornale” di alcuni frammenti delle intercettazioni aventi ad oggetto le conversazioni avvenute tra Piero Fassino e Giovanni Consorte, nel corso delle quali il segretario dei DS manifestava un certo favor per la scalata condotta dall’UNIPOL al vertice della Banca Nazionale del Lavoro, ha provocato un autentico terremoto nel mondo della politica italiana i cui effetti hanno profondamente inciso sugli orientamenti del corpo elettorale.
Al legittimo e giustificato sconcerto manifestato da parte dell’elettorato progressista di fronte alla condotta disinvolta ed inopportuna tenuta nel caso in esame da uno dei suoi leaders più autorevoli, si contrappone infatti l’atteggiamento sprezzante con cui l’intera Casa delle Libertà (capace di ritrovare l’aggressività dei giorni della discesa in campo dell’Unto dal Signore dopo mesi di depressione causata dalla prospettiva di un’ennesima debacle elettorale) è giunta a negare alla sinistra quella supremazia morale da essa costantemente rivendicata.
Dinanzi ad un simile status quo, occorre porsi due fondamentali interrogativi: da un lato, è necessario chiarire quali siano state le cause che hanno dato luogo a questa sorta di collateralismo tra gli eredi di Gramsci e Berlinguer e determinati esponenti delle lobbies dei c. d. “Furbetti del Quartierino”. D’altro lato, ci si deve domandare se le vicende de quibus siano o meno idonee a determinare in capo agli elettori dell’Unione una sostanziale perdita di fiducia nelle forze politiche cui essi si trovano a dover fare riferimento.
Premesso che nella condotta del segretario dei DS (massimamente censurabile sul piano politico e morale) non possono essere rilevati quei profili di illiceità penale che hanno viceversa caratterizzato l’agire di alcuni assidui frequentatori del salotto buono di Palazzo Grazioli, costituisce una verità inconfutabile l’affermazione secondo cui la linea politica seguita negli ultimi anni dal principale partito della sinistra italiana per volontà dell’attuale gruppo dirigente ha determinato una sorta di deriva moderata a seguito della quale il medesimo partito ha finito col perdere la sua identità.
Questa sorta di involuzione ideologica è emersa sia con riferimento ad alcune scelte di politica estera ( a seguito della mancata adesione della maggioranza diessina alla c.d. linea Zapatero in ordine al ritiro delle truppe dall’Iraq), sia riguardo a determinate valutazioni in tema di politica interna, tra le quali rientra appunto l’impostazione di rapporti troppo stretti con i poteri forti dell’economia, storicamente intesi come semplici interlocutori (se non come autentici oppositori) delle componenti della società che una forza politica come i DS dovrebbe tuttora rappresentare.
Posto che all’attuazione della strategia appena descritta ha fatto da sfondo anche un fastidioso e stucchevole imborghesimento degli atteggiamenti esteriori dei leaders della componente maggioritaria del partito, gli errori di valutazione, le leggerezze e le ambizioni individuali di alcuni dirigenti poco illuminati (che ora si trovano a dover subire il severo giudizio di una base tanto matura da non affermare a loro discolpa l’esistenza di quei diabolici complotti che vengono invece costantemente individuati a fondamento di ogni iniziativa lesiva dell’aureo prestigio del Presidente del Consiglio) non possono e non devono intaccare lo straordinario patrimonio di idee, di passioni, di lotte e di progetti che da sempre contraddistingue la principale realtà della sinistra italiana.
La straordinaria rilevanza di siffatto patrimonio emerge in tutto il suo prestigio nel momento in cui il medesimo viene posto a confronto con le argomentazioni formulate da un avversario che, facendo proprio dell’anteposizione degli interessi individuali a quelli della collettività l’obiettivo principale del suo programma di governo, rappresenta massimamente tutte le degenerazioni che hanno caratterizzato la vita politica a cavallo tra le due Repubbliche.
In questo momento di incertezza, ai valori che compongono il suddetto patrimonio il popolo progressista deve aggrapparsi per portare a compimento la sua ultima missione: mettere Romano Prodi nella condizione di procedere alla formazione di un esecutivo capace di restituire al Paese quella autorevolezza e quella credibilità smarrite negli ultimi cinque anni di governo del centro-destra. Se si tiene costantemente presente questo obiettivo, il lungo cammino verso le elezioni di aprile può ancora assumere i toni di una lunga marcia trionfale.

Carlo Dore jr.

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