domenica, febbraio 12, 2006


La sinistra italiana tra revisionismo e prospettive

ROMANZO CRIMINALE [1]


Commentando le dichiarazioni di Massimo d’Alema in ordine alla (presunta) necessità di sospendere l’esecuzione di Benito Mussolini in attesa di un processo, l’on. Berlusconi ha rilevato come la sinistra italiana stia procedendo alla riabilitazione del Duce dopo avere dovuto rivedere il giudizio in passato formulato su Craxi e Andreotti, già descritti dal medesimo Presidente del Consiglio come i principali artefici di un sistema politico capace di garantire al nostro Paese libertà e democrazia per oltre mezzo secolo.
Premesso che sarebbe superfluo ed ozioso procedere ad un’ennesima confutazione degli argomenti che hanno caratterizzato questo ennesimo raptus verbale del Cavaliere di Arcore (le cui performance oratorie sono ormai tristemente note anche ben oltre i patri confini), in questa sede si tenterà di ripercorrere alcune tappe di quell’incredibile “Romanzo Criminale” che è stata la storia italiana dal dopoguerra fino all’avvento di Tangentopoli, nel tentativo di individuare in maniera netta i valori a cui il centro-sinistra deve ispirarsi nella marcia verso le elezioni.
Da troppo tempo esiste infatti la strana e perversa tendenza a rivalutare il passato, attraverso interpretazioni di fatti storici talmente ardite da risultare idonee a trasformare i carnefici in vittime, i latitanti in esuli, i principali referenti delle cosche mafiose in perseguitati politici ed i magistrati (rei di avere semplicemente espletato con rigore le loro funzioni) in spietati esecutori di fantomatici progetti eversivi.
Questa assurda tendenza non riguarda solamente la destra post-fascista (da anni impegnata nel tentativo di conseguire una legittimazione democratica attraverso l’eliminazione di quelle indelebili tare che tuttora caratterizzano il suo codice genetico) o la miriade di formazioni sorte dalla frantumazione dei partiti tradizionalmente afferenti al CAF. Essa tende a coinvolgere anche alcune componenti dell’attuale Unione, come confermato dalle raggelanti esternazioni di Luciano Violante sulla necessità di tributare un ricordo anche ai ragazzi di Salò o dalla ancor più sconvolgente proposta di Piero Fassino di inserire Craxi tra i padri del socialismo italiano.
Premesso che tali posizioni rappresentano una sorta di suicidio ideologico da parte del principale partito d’opposizione (di cui gran parte dell’elettorato è tuttora orgogliosamente fedele ai principi cui da sempre si ispira la sinistra tradizionale, attualmente affermati con maggior vigore dall’ala più radicale della coalizione progressista), nessun artificio retorico può scalfire una verità irreversibilmente impressa nel granito della memoria: la lotta di Liberazione, con il sue vittime e con gli eccessi propri di ogni guerra civile, ha costituito un grido di libertà senza eguali, che, dalle gole degli Appennini ai vicoli delle città distrutte dai bombardamenti, ha determinato il crollo di un regime sanguinario e posto così fine ad oltre sessant’anni di oppressione.
Il destino cui andò incontro Mussolini, bloccato mentre tentava una disperata fuga sicuramente non in linea con la vis romaneggiante tragicomicamente ostentata durante l’intero ventennio, non rappresenta in tal senso un atto qualificabile come illegittimo o affrettato, ma la corretta esecuzione dell’inappellabile sentenza pronunciata dal tribunale della Storia.
Il sogno dei partigiani e dei padri costituenti relativo alla creazione di “un mondo di libertà, giustizia, pace, fratellanza e serenità” non trovò però nell’immediato una piena attuazione. La democrazia sorta dopo la Resistenza non ebbe infatti, complice il clima della Guerra Fredda, un suo corretto sviluppo, risultando ben presto strangolata da un sistema che, in nome dell’anti-comunismo, arrivava persino ad ammettere le relazioni tra partiti politici, finanzieri di dubbia fama, logge massoniche deviate e settori della criminalità organizzata (relazioni la cui esistenza è stata accertata attraverso sentenze aventi l’autorità del giudicato).
Mentre questa sorta di agglomerato di potere tendeva a soffocare dignitosamente nel sangue quei soggetti che attentavano alla sua stabilità e a brandire lo spettro del terrorismo per far percepire all’opinione pubblica l’attualità del pericolo rosso, il Partito Comunista Italiano, proponendo una politica equilibrata, incisiva e finalmente affrancata dal giogo sovietico, si mise nelle condizioni di superare siffatto status quo, riuscendo a proporsi come forza in grado di assumere il governo del Paese.
Ma il progetto elaborato da Berlinguer con il determinante consenso di Aldo Moro fu fatto naufragare a seguito dell’incedere della stagione delle stragi, scandita dal macabro suono dell’esplosione delle bombe che sconvolsero le piazze delle più importanti città, dalle grida di troppe persone la cui vita era stata devastata semplicemente in nome di ragioni di real politique, e dall’incontrastato imperversare di quelle terribili bande armate, troppo organizzate, spietate e sicure nella loro azione per poter essere descritte alle stregua di cellule impazzite del movimento operaio.
Come noto, agli anni di Piombo fece seguito l’avvento del CAF, di quel sistema di corruzione istituzionalizzata destinato a collassare sotto il maglio delle inchieste di Mani Pulite, condotte da magistrati troppo zelanti per non essere definiti come i principali fautori dell’ennesimo golpe criptocomunista.
Tutto ciò posto, ora ci troviamo di fronte ad una strana rivisitazione delle più nere pagine di questo nostro romanzo criminale, la quale impone di considerarne i personaggi sotto una luce diversa: la luce del revisionismo e della riabilitazione. Tuttavia l’esame dei momenti che sono stati appena ripercorsi non lascia spazio a revisioni o riabilitazioni, ma semmai determina il rafforzamento di quelle certezze che sono profondamente radicate nell’animo di chiunque ancora si sente fiero di dichiararsi di sinistra.
E queste certezze inducono a considerare gli ideali della resistenza al fascismo ed i principi dell’eurosocialismo berlingueriano (eternamente contrapposti a quelli professati da Craxi anche dal preteso esilio di Hammamet) non come il semplice sfondo che ha caratterizzato delle fasi storiche da dimenticare definitivamente, ma come una sorta di stella polare a cui i progressisti dovranno fare costantemente riferimento nella loro opera di rinnovamento dell’Italia.

Carlo Dore jr.
[1] Il titolo del presente scritto è volutamente ispirato all’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo, brillante rivisitazione degli anni più bui della storia d’Italia

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