domenica, febbraio 12, 2006


L’ULTIMO CAPODANNO DEL PRESIDENTE


L’ultima conferenza stampa di fine anno della presente legislatura ha offerto all’opinione pubblica un’immagine del Presidente del Consiglio triste e dimessa: l’immagine di un leader (o presunto tale) che tenta di mascherare dietro un fiume di parole ed una miriade di fantomatici dati l’ineluttabile fallimento del suo preteso progetto politico.
Tuttavia, fermo restando che questa sorta di lifting mediatico ha sortito un effetto ancora meno convincente di quello praticato sulla sua persona dai più eminenti baroni della chirurgia estetica, non potevano mancare i consueti fochi artificiali a caratterizzare l’ultimo capodanno del premier.
Quando Berlusconi ha sbandierato di fronte alle telecamere del TG1 (per l’occasione, riadattato a nuovo reality show della televisione di Stato) il titolo del “L’Unità” che riportava la notizia, risalente al lontano 1953, della morte di Stalin, accusando redattori e lettori del quotidiano fondato da Antonio Gramsci di essere moralmente corresponsabili di oltre cento milioni di omicidi, l’ilarità prodotta fino a quel momento dalle mirabili gags del Cavaliere di Arcore ha inevitabilmente lasciato spazio ad alcune considerazioni al vetriolo.
Volendo parafrasare le parole di Karl Marx, si potrebbe affermare che un fantasma tuttora si aggira per l’Italia: il fantasma dell’anticomunismo. Nei momenti in cui i grandi centri di potere si trovano sul punto di collassate, vittime di quelle stesse perversioni strutturali su cui fondano la loro esistenza, ecco che il fantasma viene puntualmente evocato, per apparire, cupo e terribile, nei peggiori incubi dei pacifici moderati, attraverso l’immagine delle orde cosacche che invadono Piazza San Pietro.
Nelle sue ultime esternazioni (inficiate dalla consueta gaffe storica circa i patimenti subiti da Vladimir Putin durante l’assedio di Stalingrado, avvenuto approssimativamente dieci anni prima della nascita dell’attuale Capo del Cremino), il Presidente del Consiglio si è semplicemente adeguato a questo canovaccio stantio ed abusato. Vedendo fallire miseramente tutti i suoi numeri di lanterna magica (diretti a far apparire come reale il Paese da Cartolina descritto negli opuscoli di Forza Italia) di fronte ad una crisi economica senza precedenti ed al conseguente malcontento manifestato da insigni esponenti di quella stessa fascia di elettorato che dovrebbe trovare in lui un costante punto di riferimento, da buon prestigiatore ha tentato di far ricorso ad un classico “coupe de teatre”: con toni melodrammatici, ha agitato lo spettro di Stalin in confronto del principale partito del centro sinistra, sempre più credibile quale futura forza di governo.
Ma anche i colpi di teatro più eclatanti non hanno incidenza se privi di connessione con la realtà in cui vengono collocati: allo stato attuale, anche l’ala più radicale dello schieramento progressista ha dato più volte conferma della sua piena legittimazione democratica, manifestando, negli ultimi trent’anni, una totale aderenza politica e ideologica a quegli stessi principi della Costituzione repubblicana che oggi rischiano di crollare sotto il maglio delle riforme varate dalla destra post-fascista di cui il Cavaliere rappresenta la massima espressione.
Per questo, la storia della sinistra italiana (dalla lotta di Resistenza al contributo all’elaborazione della Carta Fondamentale, dalla lotta al terrorismo alla stagione delle grandi riforme degli anni ’70, dal compromesso storico alla difesa dell’attuale forma di governo) merita un rispetto totale ed assoluto, poiché questa storia ricomprende in sé tutti i momenti determinanti per l’affermazione ed il consolidamento dell’attuale sistema democratico.
Ma il rispetto costituisce notoriamente un valore composto di tre principi primari: cultura, intelligenza e senso della democrazia. E questi principi non possono trovare affermazione né attraverso i numeri di lanterna magica né attraverso parole incendiarie utilizzati come fuochi d’artificio per ravvivare il Capodanno. L’ultimo Capodanno del Presidente.
Carlo Dore jr.

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