giovedì, gennaio 11, 2007


ETICA, POLITICA E QUESTIONE MORALE
(intervento alla presentazione del libro “Il Costo della democrazia
di
C. Salvi e M. Villone, svoltasi a Cagliari l’11 gennaio 2006)
Intendo concentrare le mie riflessioni sui capitoli XII e XIII del libro che oggi viene presentato, capitoli dedicati alla trattazione delicatissimo tema dei rapporti tra etica e politica ed all’esame dei profili di attualità della questione morale.
Nel procedere alla disamina degli argomenti in questione, gli Autori si interrogano su “cosa sia accaduto in Italia tra il 1992 e il 1994”, durante quella che viene considerata la legislatura più travagliata della storia repubblicana. Sul piano storico, la risposta a tale quesito appare drammatica nella sua semplicità: a oltre vent’anni di distanza dalla sua scomparsa, è infatti impossibile non rilevare l’assoluta correttezza delle valutazioni sulle quali era basata la “questione morale” posta da Enrico Berlinguer nel lontano 1981.
Dalla famosa intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari nel luglio di quell’anno, emerge infatti come il Segretario del PCI avesse compreso che l’Italia era di fatto attanagliata da una sorta di regime mascherato, il quale trovava il suo nucleo fondante nel perverso ed inscindibile legame tra alcune forze politiche anticomuniste, determinati settori del mondo economico ed ambienti vicini alla criminalità organizzata.
Ai magistrati di Milano deve in questo senso essere riconosciuto l’altissimo ed impareggiabile merito di avere rivelato un determinato aspetto di questa triste realtà, portando alla luce quel sistema di clientele e diffusa corruzione proprio degli anni della “Milano da bere” ed avviando il rapido processo di implosione delle varie componenti del CAF.
Se si ritiene di dover accogliere il postulato in base al quale non tutti i partiti avevano concorso allo stesso modo all’instaurazione del suddetto sistema, appare chiaro come i cittadini si aspettassero principalmente dai discendenti del PCI una rapida e radicale azione di rinnovamento della classe dirigente, la riproposizione di una questione morale in grado di portare una salutare ventata d’aria nuova nelle grigie stanze della politica italiana.
Ebbene, hanno ragione gli Autori del libro allorquando affermano che una simile azione di rinnovamento della classe dirigente non è mai stata di fatto avviata; che la sopra descritta aspettativa di moralizzazione della politica è stata finora miseramente delusa, anche a causa delle discutibili strategie recentemente poste in essere dai DS.
Siffatta aspettativa è andata delusa una prima volta nel 1996, allorquando il Parlamento, a maggioranza di centro-sinistra, non solo rifiutò di concedere l’autorizzazione all’arresto di Cesare Previti, ma non si dimostrò nemmeno in grado di approvare quella legge sul conflitto di interessi la cui entrata in vigore avrebbe impedito a Berlusconi di ridurre le Istituzioni alla triste condizione di sedi secondarie delle società del gruppo Mediaset.
Del pari, la medesima aspettativa è stata frustrata anche in questi primi mesi della nuova legislatura: l’Unione non ha infatti esitato un solo istante a ricomprendere i c.d. reati economici nell’ambito della legge sull’indulto, ma non sembra rientrare nell’ambito dei più immediati programmi dell’attuale maggioranza di governo l’abrogazione delle tante leggi-vergogna approvate al solo scopo di risparmiare ad alcuni sodali del Cavaliere l’onta di una condanna.
Così, mentre il suddetto on. Previti –malgrado una sentenza definitiva ne disponga la perpetua interdizione dai pubblici uffici- continua a sedere impunemente sui banchi del Parlamento, le forze politiche della sinistra sembrano di nuovo cadute in quella sorta di immobilismo già dimostratosi fatale nel 2001, risultando tali forze politiche del tutto insensibili alle istanze che vengono avanzate con preoccupazione sempre crescente da elettori e militanti.
Quello dei rapporti tra partiti e cittadini è l’altro grande problema affrontato nelle pagine in commento, ed è un problema che coinvolge principalmente gli stessi DS, alle prese con un processo di trasformazione dai discutibili presupposti e dalle inquietanti prospettive. Riservandomi di affrontare in altra sede le delicatissime questioni che stanno alla base del dibattito sul PD, mi limito al momento a rilevare l’esistenza di una frattura tra i vertici del principale partito della sinistra italiana e gli elettori che lo sostengono.
Tale frattura si sta consumando sia sul piano delle scelte operative (l’approvazione della già citata legge sull’indulto ha in questo senso costituito un vero e proprio schiaffo per le migliaia di cittadini che avevano impostato proprio sulla difesa dei valori della legalità, dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura la loro spontanea opposizione all’imperversare del Caimano), sia sul piano dei principi ideologici che tali scelte ispirano, sia sul piano degli uomini preposti a ricoprire incarichi di rilievo.
La riforma della legge elettorale ha in questo senso ulteriormente accentuato la già netta propensione delle segreterie ad imporre agli elettori candidati logori, compromessi o più in generale poco credibili, il cui unico merito può essere individuato nell’adesione a determinate logiche o nella contiguità ad un gruppo di potere.
Le conseguenze di un simile status quo sono state efficacemente descritte dagli Autori del libro di cui oggi discutiamo: generalizzata sfiducia dei militanti verso il Partito,
mancanza di rappresentatività, astensionismo crescente. Tuttavia, il superamento di questa sorta di autentica deriva moderata che attualmente coinvolge gli eredi di Gramsci e Berlinguer non dipende dall’artificiosa creazione di un nuovo soggetto politico, ma dal radicale ripensamento degli assetti che contraddistinguono il partito allo stato attuale.
Come giustamente si osserva nelle pagine in commento, occorre che i DS riprendano il loro cammino ispirato ai principi del socialismo europeo ed internazionale; occorre che i militanti si riappropino del Partito, imponendo ai dirigenti scelte coerenti con i valori e le idee a cui la base sente di fare riferimento.
Avviandomi a concludere, sento di dover far notare una volta di più come la “questione morale” non ha ancora perso la sua carica di attualità: l’esigenza di un radicale rinnovamento della classe dirigente, di una riaffermazione dell’idea della politica come perseguimento di interesse generale emerge in tutta la sua evidenza dalle riflessioni proposte da Salvi e Villone.
E in questo senso, la sussistenza di una forza politica espressione della sinistra tradizionale, consapevole della sua identità e non disposta a dissolversi in un inutile “contenitore moderato” costituisce il presupposto indispensabile per avviare quell’opera di moralizzazione della res publica che i cittadini da dieci anni attendono.
Carlo Dore jr.

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