giovedì, gennaio 25, 2007

LA SCURE DELLA CONSULTA SULLA LEGGE 46/2006:
LA LEGGE DEL Più FORTE E LA CULTURA DELLA LEGITTIMITA’.


La decisione della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune delle norme contenute nella c.d. Legge Pecorella (legge n. 46 del 20 febbraio 2006) – norme che precludevano al P.M. la possibilità di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento- ha riacceso il dibattito, in realtà mai sopito, relativo ai rapporti tra giustizia e politica.
Così, mentre Berlusconi monopolizza tutti i microfoni a disposizione delle sue emittenti per tuonare contro l’uso politico della giustizia perpetrato in suo danno da quella sinistra liberticida di cui la Corte Costituzionale rappresenterebbe il braccio armato, l’ANM prende atto con soddisfazione del recepimento, da parte del Giudice delle Leggi, di alcuni dei rilievi a suo tempo sollevati in confronto di una legge che, violando il principio della “parità” tra le parti del processo penale proprio del modello accusatorio, si poneva in aperto contrasto con quanto stabilito dal comma 2 dell’art. 111 Cost.
Tuttavia, questa ennesima censura avente ad oggetto un atto normativo entrato in vigore durante la vigenza del regime del Caimano non può non costituire lo spunto per alcune considerazioni al veleno. Confermando la correttezza del leggendario aforisma di Indro Montanelli, secondo cui “Berlusconi non ha idee, al massimo ha interessi”, il centro-destra ha operato nel corso degli ultimi cinque anni al solo scopo di assecondare, attraverso l’approvazione di una serie di provvedimenti diretti a precludere alla Magistratura l’esercizio delle prerogative ad essa riconnesse dalla Carta Fondamentale, le esigenze (economiche e giudiziarie) proprie dello stesso Cavaliere di Arcore e di alcuni suoi stretti sodali.
All’imperversare di un legislatore dimostratosi arrogante nelle sue scelte e risibilmente grossolano ed approssimativo nell’elaborazione delle disposizioni attuative di siffatte determinazioni non si è opposta la sola società civile, i cui rappresentanti hanno più volte invaso le piazze di tutta Italia per manifestare la loro volontà di difendere le istituzioni democratiche. Le norme adottate in esecuzione delle illuminate strategie di quel manipolo di avvocati d’assalto a cui Berlusconi aveva demandato il compito di destabilizzare il pianeta – giustizia sono infatti spesso cadute sotto la scure della Consulta, coraggiosa nel rilevare, attraverso le sue decisioni, come la “cultura del processo” ripetutamente esaltata dall’on Pecorella fosse al limite qualificabile come una “cultura dell’incostituzionalità”, figlia della perversa concezione aziendalista dello Stato propria del Presidente – Padrone.
Ora che Berlusconi è stato faticosamente sfrattato da Palazzo Chigi, stupisce però come il primo intervento politicamente significativo in tema di giustizia assunto nel corso della nuova legislatura sia contenuto in un’altra decisione della Corte Costituzionale, e non rappresenti invece l’attuazione di una scelta della nuova maggioranza di centro-sinistra, dimostratasi tanto determinata ad approvare la legge sull’indulto quanto poco propensa ad abrogare in tempi rapidi le tante norme-vergogna imposte dalla Casa delle Libertà.
In questo senso, le posizioni quotidianamente assunte da intellettuali “scomodi” del calibro di Furio Colombo, Marco Travaglio e Franco Cordero confermano che proprio sulla materia della giustizia l’Unione dovrà dimostrare la propria capacità di rispondere alle istanze di quegli elettori che continuano ad ispirarsi ai valori della sinistra tradizionale: dopo cinque anni caratterizzati dal brutale spregio di ogni regola democratica e dalla rigorosa imposizione della volontà del Padrone, i cittadini si aspettano una politica finalmente ispirata al perseguimento di interessi generali ed al ripristino della cultura della legittimità.

Carlo Dore jr.

1 commento:

Unknown ha detto...

Prescindendo dal fatto che le norme poste dal Caimano potessero tornare utili ai tanti cittadini stritolati dal sistema giustizia, non le sembra che nel processo penale il principio di parità delle armi sia sbilanciato nei confronti del PM (e le faccio notare che il Dott. Caselli afferma il contrario)? Tuttavia la decisione della Corte è formalmente giusta proprio per il fatto che nel nostro ordinamento il PM non è una parte processuale che istituzionalmente deve muovere solo accuse, ma dovrebbe cercare anche gli elementi a discarico dell'imputato, ricercare la verità storica dei fatti. Marcello M
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