sabato, settembre 29, 2007




MA IL REFERENDUM NON E’ UN REGICIDIO

Grande successo ha incontrato negli ultimi tempi il teorema in base al quale il referendum sulla legge statutaria costituirebbe, per la stabilità della Giunta – Soru, una tappa ancor più insidiosa delle primarie per la segreteria del Partito Democratico sardo, in cui il Governatore è impegnato in prima persona.
In pratica, i sostenitori delle ragioni del “no” vengono descritti come un gruppetto di congiurati che, forti della benedizione di Mauro Pili e di Antonello Cabras, si sarebbero dati appuntamento poco dopo le idi di ottobre per attuare il primo grande regicidio della storia dell’Autonomia, ponendo fine all’esperienza di governo di Mr. Tiscali.
Premesso che non intendiamo prendere posizione in ordine al dibattito relativo ai vari profili tecnico-giuridici che caratterizzano la suddetta legge (dibattito condotto sinora con intelligenza e lucidità da eminentissimi studiosi del diritto pubblico), riteniamo però di poter offrire una differente lettura dei fatti che scandiscono l’evolversi di questa delicata fase della politica sarda.
Contestando l’impianto di fondo della legge che definisce gli assetti fondamentali della forma di governo della Regione, quegli intellettuali di sinistra che sono confluiti nel movimento referendario non rappresentano né la classica “foglia di fico” necessaria ad occultare le ambizioni revansciste di alcuni tra i più impresentabili sodali del Cavaliere di Arcore (improvvisatisi paladini delle istituzioni democratiche dopo avere per anni difeso a spada cieca una situazione di conflitto di interessi non configurabile nemmeno presso la più feroce Repubblica delle banane), né il trampolino utile ad assecondare le trame dei tanti capi-bastone di DS e Margherita, mobilitati dai partiti di riferimento per frenare l’ascesa di Soru alla segreteria del PD.
Posto infatti che le critiche finora avanzate dai vari comitati per il “no” sono riferite ad un provvedimento che non promana esclusivamente dal Capo dell’Esecutivo (in quanto approvato da un’ampia maggioranza consiliare), non possiamo non rilevare come, se un disegno regicida esiste, questo matura al chiuso delle stanze dei bottoni del nuovo soggetto politico, dove le logiche spartitorie ed i giochi di potere non lasciano spazio alle parole vellutate cui Veltroni fa quotidianamente ricorso per descrivere il “suo” Partito Democratico.
Costituisce ormai una verità incontestabile l’affermazione secondo cui la ripartizione delle cariche all’interno del nascente PD coincide con la mera fase attuativa di una strategia (da completare mediante la convocazione di primarie facilmente controllabili grazie al perverso sistema delle liste bloccate) già elaborata prima della conclusione della stagione congressuale. L’obiettivo unico a cui tende questa complessa opera di ingegneria politica deve essere individuato nella conservazione delle storiche nomenclature, integrate per l’occasione da alcuni autorevoli esponenti dei vari settori della società civile, magnifiche icone di un progetto di rinnovamento destinato a rimanere pura astrazione.
Avendo in Sardegna la candidatura di Soru (ennesima scelta tanto legittima quanto improvvida da parte di un presidente - imprenditore dimostratosi troppo spesso indifferente alle dinamiche che il suo nuovo ruolo istituzionale gli impone di osservare) in parte sparigliato gli equilibri delineati attraverso siffatta strategia, l’intera casta dei Signori dei Partiti si è ricompattata per sostenere la discesa in campo di Antonello Cabras, suo malgrado cooptato per una corsa all’ultimo voto a cui avrebbe volentieri fatto a meno di partecipare.
Morale: siamo al regicidio. A meno che il successo del Governatore alle primarie del 14 ottobre non si traduca in un vero e proprio plebiscito a suo favore, egli si troverà a governare una struttura impazzita, risultando quotidianamente esposto alle manovre di disturbo che la minoranza interna porrà in essere al solo scopo di limitarne l’azione. Per contro, è abbastanza semplice prevedere le conseguenze derivanti dall’eventuale affermazione del Senatore ex socialista: di fatto sfiduciato dal principale partito della coalizione, il Presidente della Giunta non solo vedrebbe preclusa la possibilità di un secondo mandato, ma sarebbe costretto ad affrontare l’ultima fase della legislatura convivendo con lo spettro di una crisi di governo neanche ipotizzabile pochi mesi fa.
Ma se Soru deve cadere, stritolato da un gioco di potere al quale ha inopinatamente deciso di partecipare senza conoscere le regole utili a controllarlo, la responsabilità del fallimento della coalizione di centro-sinistra non potrà certo essere imputata a quanti si sono legittimamente opposti all’entrata in vigore di una legge di cui non condividevano l’impianto fondamentale. Qualunque situazione di delinei alla fine di ottobre, il referendum non può essere descritto come un regicidio.

Enrico Palmas
Carlo Dore jr.

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