domenica, agosto 28, 2011

“NEL LABIRNTO DEGLI DEI – STORIE DI MAFIA E DI ANTIMAFIA”

A. Ingroia, Ed. ilSaggiatore – Milano, 2010, pp. 181, E 15,00


Questa è una “storia di mafia e di antimafia”, un dettagliato resoconto della recente storia giudiziaria d’Italia tratteggiato dalla penna di uno dei principali protagonisti della lotta a Cosa Nostra. Magistrato da sempre impegnato tanto nell’attività di contrasto alla criminalità organizzata quanto nelle grandi battaglie civili a difesa dei principi di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e di autonomia dell’ordine giudiziario rispetto al potere politico consacrati nella nostra Costituzione, Antonio Ingroia ricostruisce i fatti principali della sua esperienza presso le Procure di Marsala e Palermo attraverso il richiamo ad una serie di singole storie: le storie di verità accertate e negate, di vicoli ciechi e squarci di luce, di porte che si aprono e si chiudono, come in ogni labirinto degno di tale nome. Sono storie di donne e di uomini, di eroi e di sicari, di pentiti e di persone per bene, di lacrime e di fango, di tribunali e di palazzi del potere: sono le storie che vanno a costituire l’inestricabile reticolato lungo il quale si dipana il Labirinto degli Dei.

Ingroia ricostruisce e racconta: racconta della profondità dello sguardo di Giovanni Falcone mentre sondava gli imperscrutabili abissi dell’omertà mafiosa, e della corsa a sirene spiegate verso il rogo di Capaci, tra le lacrime per la scomparsa di un amico e la disperazione che accompagna un destino percepito come maledetto ed ineludibile. Racconta del coraggio e della travolgente umanità con cui Borsellino interpretava il suo ruolo di giudice istruttore e di pubblico ministero impegnato nelle indagini sui rapporti tra cosche e colletti bianchi, opponendo la forza di un sorriso e della battuta “Io il Procuratore sono” alla minaccia nera di un pericolo sempre incombente, concretizzatasi in un maledetto pomeriggio di luglio in via d’Amelio, tra il calore dell’asfalto, l’odore acre del tritolo, lo spettacolo orribile di una città ferita a morte da un nemico invisibile. Racconta di Tommaso Buscetta, pentito istrionico e tagliente nonché testimone diretto del conflitto tra il tradizionalismo criminale della “mafia perdente” di Stefano Bontate e la ferocia sanguinaria dei “viddrani” discesi da Corleone. E racconta di Rita Atria, giovane collaboratrice di giustizia morta suicida all’indomani dell’attentato a Borsellino, alla quale la Mafia aveva tolto il padre, il fratello ed al fine anche “il suo giudice”, lasciandola sola sotto il peso di una disperazione insopportabile.

Ma Ingroia non è il solo il testimone privilegiato dei momenti di una stagione lontana, un cronista dei giorni di fuoco in cui Cosa Nostra dichiarò guerra allo Stato. No, il suo racconto è stretta attualità, perché ancora nessuno è riuscito a trovare la via verso l’uscita dal Labirinto degli Dei. E così, nel buio di quelle strade dalla destinazione incerta, capita di incrociare Massimo Ciancimino e Gaspare Spatuzza – protagonisti di una nuova stagione di antimafia della quale non è ancora possibile conoscere l’epilogo - , Tanino Cinà e Vittorio Mangano – “testa di ponte della mafia al nord” a cui gli improvvidi eredi dei detrattori di Falcone e degli altri “professionisti dell’antimafia” hanno inopinatamente concesso la patente di eroe – e persino un uomo di potere come Marcello Dell’Utri.

Già, Dell’Utri: in questa storia di labirinti e di verità cercate, trovate o negate, Ingroia imbocca una strada che lo conduce fino al portone principale di Palazzo Chigi, fino alla sala del trono di Silvio Berlusconi, dove l’attuale Procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo si reca, nel novebre del 2002, per chiedere aiuto al Presidente. Aiuto per gettare un salutare fascio di luce su "dubbi, incertezze, ombre e buchi neri", aiuto per chiarire "l’origine dei suoi rapporti con Dell’Utri, la conoscenza e l’origine dei suoi rapporti con Mangano, e le sue mansioni, quando ebbe notizia delle sue “relazioni pericolose” con Cosa Nostra, la storia e le ragioni del suo licenziamento, le origini dei suoi rapporti con Tanino Cinà e quelli con il finanziere Filippo Alberto Rapisarda". Ma soprattutto, aiuto per spazzare via i "tanti misteri, gli apparenti “buchi neri” sulle origini del suo impero finanziario, le risultate opacità di taluni flussi di denaro in contanti, in entrata nelle casse del gruppo Fininvest" .


Quella domanda è rimasta in sospeso per alcuni lunghissimi secondi, prima che il Presidente, su consiglio dei suoi legali, decidesse di opporre ad essa la classica formula "mi avvalgo della facoltà di non rispondere", per poi sparire, lasciando dietro di sé il consueto strascico di polemiche sull’uso politico della giustizia e sulla necessità di una riforma volta a “normalizzare” le toghe militanti ed a garantire ai titolari di cariche di governo il sereno svolgimento della loro funzione. Un'altra porta che si apre e che si chiude, un’altra fuga verso la luce destinata a morire in un vicolo cieco. Ma, del resto, questa è la storia di un labirinto: del dedalo incomprensibile da cui è composto il Labirinto degli Dei.



Carlo Dore jr.

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