giovedì, agosto 04, 2011

LA FINE DEL “SOCIALISMO GENTILE” E LE PROSPETTIVE DELLA SINISTRA ITALIANA: GLI “INDIGNADOS” A PIAZZA DEL POPOLO?


Di seguito, un mio intervento pubblicato su Sardegna24 del 4 agosto 2011

Quando le agenzie di stampa hanno diffuso la notizia delle dimissioni di Zapatero, i progressisti europei hanno avvertito la sensazione che di solito fa seguito alla brusca interruzione di un bel sogno.

L’epoca di Zapatero è finita, e con lui si è esaurito il miraggio della“rivoluzione tranquilla” che aveva alimentato le speranze di quanti, all’alba del nuovo millennio, credevano nella possibilità di elaborare un’alternativa all’ondata conservatrice in cui il Mondo sembrava destinato ad affogare. L’epoca di Zapatero è finita, e con lui è finito quel “socialismo gentile” con cui lo sconosciuto avvocato di Leòn aveva osato sfidare gli anatemi della destra cattolica e le aspirazioni dei Signori del conflitto iracheno. Istituzionalizzazione delle unioni civili, immediato disimpegno dal fronte più incomprensibile della guerra preventiva, affrancazione della TV di Stato dal controllo della politica: dopo gli anni del blairismo, Madrid era diventata la nuova capitale della sinistra in Europa. Eppure, l’epoca di Zapatero è finita. Dove ha sbagliato Zapatero?

Forse, ha sbagliato quando – per combattere le sue battaglie civili – ha portato il PSOE troppo lontano dal mondo del lavoro, troppo lontano dalle esigenze di quella diffusa realtà precaria che, stretta nella morsa della disoccupazione crescente alimentata da una crisi globale e senza controllo, ha trasformato in indignados gran parte dei sostenitori dell’erede di Felipe Gonzales. Il mondo del lavoro senza prospettive e senza punti di riferimento, un socialismo troppo “gentile” per guidare un Paese nella bufera: il sogno è finito troppo presto, Zapatero torna a Leòn.

Le vicende che hanno scandito la crisi del PSOE sono così diverse, ma al contempo così simili alle varie tappe della diaspora a cui, tanto in Sardegna quanto a livello nazionale, i progressisti sono andati incontro nell’ultimo decennio: l’estinzione dei partiti tradizionali ha infatti generato un vuoto di rappresentanza che ha lasciato quella che Ilvo Diamanti definisce “la sinistra diffusa” di fatto senza guida, oppressa dalla minaccia di un futuro senza certezze, delusa da una classe politica percepita come indifferente ai problemi che la quotidianità propone. La sfiducia genera antipolitica, gli indignados si preparano ad invadere Piazza del Popolo.

A colmare questo vuoto di rappresentanza non è riuscito il PD di Veltroni - partito anti-ideologico, schiacciato dall’ambizione di farsi al contempo portatore delle rivendicazioni del sindacato e delle aspettative dell’ala dura di Confindustria –, né la neonata SEL, movimento personale legato a doppio filo alle alterne fortune della vaga narrazione vendoliana. Di questo vuoto di rappresentanza sembra invece aver preso coscienza Bersani, il quale – resistendo all’accusa di passatismo proveniente da quei settori della base democratica che ogni giorno invocano la rottamazione della “sinistra che parla solo di operai” -, ha da subito posto il tema del lavoro e della giustizia sociale al centro del suo progetto di leadership.

Se l’eco degli scandali che attualmente squassano l’area democratica non finiranno col minare la credibilità del gruppo dirigente, ecco che il modello di un partito vicino al mondo del lavoro ed alle istanze del sindacato – capace di porsi come credibile interlocutore rispetto alle imprese – può costituire il naturale punto di riferimento per quella fetta di elettorato che, sfiancata dall’opulento egocratismo del ventennio berlusconiano, chiede sicurezza e tutele dinanzi alla crisi che incombe. La “sinistra diffusa” non si nutre di sogni o di vaghe narrazioni, non vuole promesse né brama rottamazioni: in Italia come in Sardegna, chiede rappresentatività, ed una prospettiva analoga a quella che il socialismo gentile di Zapatero aveva offerto ai progressisti europei nella primavera del 2005. Chiede rappresentatività ed una nuova prospettiva: per non cedere al vento dell’antipolitica, per non invadere con altri “indignados”il sagrato di Piazza del Popolo.


Carlo Dore jr.

Nessun commento: