sabato, giugno 03, 2006


IL RUOLO DELLE ISTITUZIONI DI GARANZIA NELLA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE


Archiviate definitivamente le polemiche relative all’estenuante maratona elettorale, la materia della riforma della Costituzione è ritornata al centro del dibattito politico, in previsione del referendum confermativo del prossimo 25 giugno.
I più eminenti costituzionalisti italiani (da Allegretti a Barbera, da Ciarlo a De Siervo) hanno ripetutamente denunciato i rischi collegati all’entrata in vigore del testo di revisione della Carta Fondamentale predisposto dai sedicenti saggi di Lorenzago, rischi principalmente riconducibili al fatto che il suddetto testo tende a concentrare nelle mani del primo ministro un potere tale da renderlo il dominus indiscusso della politica nazionale.
Tuttavia, alcuni aspetti di tale disegno (forse marginali, ma non per questo meno inquietanti) meritano a nostro avviso di essere oggetto di un ulteriore riflessione: costituisce una realtà tristemente incontrovertibile l’affermazione secondo cui Silvio Berlusconi, indotto per mentalità a non concepire l’esistenza di limiti che possano ostacolare l’attuazione dei suoi progetti, ha sempre considerato le istituzioni di garanzia alla stregua di un mero fattore perturbante per l’adempimento dell’ormai celeberrimo contratto con gli Italiani. Questa manifesta insofferenza costituisce l’effettiva ratio delle disposizioni che definiscono le prerogative del Capo dello Stato e che individuano i nuovi criteri per la nomina dei membri della Corte Costituzionale, non a caso più volte qualificata dai vari luogotenenti del Caimano come una sorta di moderno soviet supremo.
Premesso che la più alta carica dello Stato risulta pesantemente menomata nelle sue prerogative in ragione del fatto che essa viene privata del potere di determinazione in ordine allo scioglimento delle Camere, è opportuno rilevare come la riforma in commento, individuando tout court il Primo Ministro nel leader della coalizione che prevale nella competizione elettorale, di fatto assegna al Presidente della Repubblica un ruolo del tutto marginale anche nella fase di formazione dell’Esecutivo.
Una simile misura, unitamente alla previsione che riserva al premier il potere di nomina e revoca dei vari ministri, è palesemente finalizzata a scongiurare il verificarsi di situazioni analoghe a quelle che, nel lontano 1994, caratterizzarono la composizione del primo governo della Casa delle Libertà: in quell’occasione il Presidente Scalfaro non solo riuscì a precludere l’ascesa alla carica di Ministro della Giustizia di un soggetto (pochi mesi fa condannato in via definitiva a sette anni di reclusione) privo dei requisiti morali necessari per svolgere con l’adeguata autorevolezza il ruolo di Guardasigilli, ma arrivò a denunciare dinanzi alla Nazione intera la presenza, nell’ambito della maggioranza parlamentare, di forze politiche storicamente ostili a quei principi democratici che trovano proprio nella Carta Costituzionale la loro più elevata espressione.
Peraltro, si è già evidenziato come, a seguito della pronuncia di incostituzionalità della legge che garantiva alle più alte cariche dello Stato l’immunità anche con riferimento ai processi in corso, la Consulta è stata brutalmente accusata di partigianeria, in ragione di una pretesa (e, nel caso di specie, del tutto irrilevante) continuità ideologica tra alcuni suoi componenti ed i partiti del centro-sinistra.
In questo senso, l’innalzamento del numero dei giudici di nomina parlamentare assolve perfettamente all’esigenza di garantire una piena omogeneità tra la maggioranza di Governo ed il collegio che costituisce il Giudice delle Leggi, così sostanzialmente trasformato da organo di controllo in organo di ratifica delle decisioni maturate a livello parlamentare.
Alla luce delle considerazioni appena formulate, l’esigenza di esprimere un voto contrario alla riforma in commento appare forse ancora più pressante: il tratto fondamentale che contraddistingue ogni democrazia evoluta viene infatti identificato nell’esistenza di una serie di istituzioni di garanzia la cui funzione è appunto quella di evitare che le forze maggioritarie in un dato momento storico possano abusare del potere ad esse conferite dal corpo elettorale.
Nel momento in cui le prerogative di queste istituzioni vengono messe in discussione dagli stessi organi titolari del potere politico, i quali si trovano quindi nella condizione di poterne limitare la rilevanza in seno all’ordinamento, sono le fondamenta stesse della democrazia a tremare violentemente.

Carlo Dore jr.

1 commento:

Massimo Marini ha detto...

RITORNO AL VOTO... DI NUOVO!
Il 25 giugno si torna a votare. L'ultimo capitolo di questa interminabile campagna elettorale che tra politiche, amministrative, incarichi istituzionali ed ora referendum, ci ha accompagnato (e diciamola tutta, logorato) in pratica dall'inizio dell'anno. L'ultimo capitolo quindi, ma decisamente il più importante. E' importante votare per il nuovo Governo, è importante votare per il Sindaco. Ma è vitale esprimere la nostra preferenza quando in gioco non c'é solamente la politica, sia essa nazionale o locale, ma tutto l'impianto sul quale si basa l'ordinamento costituzionale della Repubblica Italiana, le fondamenta democratiche della nostra società.

UN REFERENDUM DIVERSO
Di referendum nella storia repubblicana se ne sono visti parecchi e di argomenti più disparati: dall'aborto alla caccia, dal divorzio alle televisioni. Questo però è diverso non solo per la grande importanza del tema trattato (probabilmente secondo solo a quello del '46 repubblica/monarchia), ma anche per l'aspetto strettamente tecnico. Si tratta infatti di referendum confermativo (e dunque non necessita di quorum), al contrario della stragrande maggioranza dei referendum per i quali fino ad oggi il popolo italiano si è espresso, per lo più abrogativi. L'art. 138 della Costituzione stessa, consente al popolo di manifestare la sua volontà quando la maggioranza con la quale un provvedimento destinato a diventare Legge Costituzionale è stato approvato in Parlamento, "non sia tale da esprimere una generale e diffusa condivisione dei suoi contenuti".

LA NOSTRA COSTITUZIONE (in breve)
La Costituzione Italiana è in vigore dal 1 gennaio 1948, e rappresenta il frutto di due anni di lavori della Costituente eletta nel 1946 all'indomani del crollo del regime fascista e della fine della seconda guerra mondiale, contestualmente all'istituzione della Repubblica e al definitivo accantonamento della Monarchia. Approvata con una maggioranza di circa il 90% dei partecipanti all'Assemblea, la Costituzione è la summa delle tre grandi correnti culturali e politiche del novecento: socialista, liberale e cattolica. Dopo i primi dodici articoli che delineano i "Principi Fondamentali" - come la garanzia dei diritti inviolabili dell'individuo, la pari dignità di ogni cittadino davanti alla legge senza distinzione di nessuna natura, il diritto al lavoro e alla partecipazione politica e sociale alla vita del Paese - segue la suddivisione del codice in due parti: la prima stabilisce diritti e doveri dei cittadini (libertà di stampa, religiosa, d'insegnamento, di associazione etc); la seconda è dedicata all'ordinamento della Repubblica e dei suoi tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario).

I CAMBIAMENTI PREVISTI NELLA RIFORMA: SCUOLA E SANITA'
Ed è proprio la seconda parte della Costituzione, l'oggetto dei devastanti cambiamenti promossi dal centrodestra. In primo luogo la fantomatica "Devolution". Viene demandata alle singole Regioni, la competenza legislativa in materia di assistenza e organizzazione sanitaria, nonché la competenza esclusiva in materia di organizzazione scolastica, gestione degli istituti di formazione, definizione di programmi e percorsi di formazione professionale. Ciò provocherebbe certamente l'istituzionalizzazione di diversi regimi di accesso alle prestazioni sanitarie o agli istituti scolastici per i residenti e i non residenti in una determinata Regione, nonché una serie di preclusioni, ostacoli e discriminazioni assolutamente contrari allo spirito di uguaglianza e unità nazionale espresso dai costituzionalisti nel '47. A questo si aggiunge il non trascurabile rischio di un impasse legislativo dovuto al fatto che il nuovo Parlamento (su indicazione governativa) potrebbe di fatto annullare una legge regionale qualora si ritenga che rechi pregiudizio all'interesse e all'unità nazionale. Di qui alla lotta di potere che si potrebbe attivare fra amministrazioni locali e Governo centrale di colore diverso il passo è davvero breve.

LE NUOVE CAMERE PARLAMENTARI
Ridimensionato completamente il ruolo delle Camere Parlamentari. Il Senato in particolare, che prenderebbe il nome di Senato Federale, sarebbe eletto su base regionale in concomitanza con l'elezione dei singoli Consigli Regionali. Perderebbe il rapporto di fiducia con il Governo (nel senso che l'esecutivo dovrebbe chiedere la fiducia per il suo insediamento solo alla Camera dei Deputati), e avrebbe competenze legislative solo per quanto concerne le Leggi Quadro per le autonomie locali. Se poi si considera che qualora il Governo lo ritenga opportuno, la competenza specifica per una Legge può essere arbitrariamente tolta al Senato e consegnata alla Camera dei Deputati, si intuisce facilmente che di fatto il potere del "Senato Federale" è praticamente nullo e comunque ricattabile politicamente. Così come ricattabile politicamente diventerebbe la posizione dei Deputati. Secondo la riforma voluta dalle destre infatti, qualora la Camera dei Deputati "sfiduci" il premier, ci sarebbe l'automatico scioglimento delle Camere e l'indizione di nuove elezioni. Conoscendo il proverbiale attaccamento dei politici italiani per le poltrone, diventa difficile prefigurare frequenti mozioni di sfiducia che invece oggi rappresentano un importante strumento di democrazia all'interno di una coalizione.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E IL PREMIER
Il premier immaginato dalla CDL ha poteri pressoché assoluti nella gestione delle decisioni politiche italiane. Designato in modo diretto dagli elettori, avrebbe il potere esclusivo nella scelta dei Ministri che formano il Governo e nello scioglimento delle Camera dei Deputati (l'unica, ricordiamolo, in rapporto "fiduciario" con il capo dell'esecutivo). Ne consegue il ridimensionamento della figura del Presidente della Repubblica che non potrà più sciogliere le camere, non potrà (nemmeno formalmente) mettere parola sulla scelta e l'operato dei Ministri, non potrà in alcun modo insomma intervenire nella vita politica dell'esecutivo.

LA NUOVA CORTE COSTITUZIONALE
Troppo poco si parla nei salotti televisivi della politica e nelle tribune elettorali che ci accompagnano al voto, di quanto previsto nella nuova normativa per quanto concerne le modifiche alla Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale, con il Presidente della Repubblica, rappresenta il supremo garante delle norme costituzionali nel nostro Paese, e per questo motivo deve necessariamente rimanere slegata il più possibile in modo reale oltreché formale dai tre classici poteri istituzionali: legislativo, esecutivo e giudiziario. La nostra Costituzione prevede infatti che cinque giudici vengano nominati dal Presidente della Repubblica, cinque da Camera e Senato in seduta comune, cinque dalle Supreme Magistrature (Corte dei Conti, Consiglio di Stato, Cassazione). La CDL ha pensato bene dunque, nell'ottica di controllo politico generalizzato nelle mani della maggioranza e del premier assoluto che caratterizza tutto l'impianto della riforma proposta, di togliere un giudice a Presidente della Repubblica e Supreme Magistrature, e di consegnare così al Parlamento l'elezione di ben sette giudici, politicizzando di fatto la Corte Costituzionale che invece, come riportato agli artt. dal 134 al 137 della Costituzione, "deve godere della massima indipendenza" per poter assolvere in totale autonomia, al delicato compito di garante supremo delle regole di vita democratiche della nostra società.

ECCO PERCHE' VOTARE NO
Come si può dedurre dunque, siamo davanti ad un completo stravolgimento delle regole che disciplinano i rapporti democratici tra i poteri dello Stato, e tra le istituzioni e i cittadini, in totale disarmonia con quanto tracciato dai Padri Costituzionalisti e preso come riferimento ed esempio da un gran numero di costituzioni europee del novecento.

LA COSTITUZIONE SI PUO' CAMBIARE
La Costituzione si può cambiare: lo si deve fare però con estrema ponderatezza e attenzione, nel rispetto assoluto delle indicazioni dei Costituzionalisti di allora e di oggi, nel concerto e nella più larga condivisione parlamentare possibile. Non certamente a colpi di maggioranza e di spot pubblicitari faziosi.

Per meglio approfondire quanto sopra esposto, consiglio il download dell'opuscolo informativo "No alla Riforma Costituzionale" curato dal Comitato milanese di Salviamo La Costituzione (presieduto dall'ex Presidente della Repubblica O.L. Scalfaro) e scaricabile dallo store di massimomarini.net - www.massimomarini.net